Musica

Faggiani, il Maestro che difende la Parmigianità

Ovazioni a non finire, dieci minuti di applausi, richieste di bis, gragnuole di vibrati urlati «bravo» per il direttore Martino Faggiani, raggiante di felicità e orgoglio per questo apoteosico trionfo - sì stavolta l’aggettivazione ci sta tutto - del Coro del Teatro Regio di Parma in uno stracolmo Teatro Verdi di Busseto. Faggiani, in un clima euforico fattosi via via sempre più caldo e partecipe, ha dimostrato una cosa ritenuta scontata ma ormai quasi mai praticata al giorno d’oggi. E cioè che l’offerta al pubblico deve basarsi sulla sostanza musicale, sul vero «teatro in musica», ormai abbandonato nelle mani di registi supponenti e pieni di birignao, simbolisti ermetici presuntuosi, i quali spesso ti spiegano come i nostri grandi operisti fossero sì, certo, a volte anche bravi o bravissimi, tuttavia di insufficiente cultura, vittime di librettisti mediocri e quindi incapaci di capire e trasmettere come si dovrebbe il significato psichico, psicologico e psicoanalitico del loro lavoro. Ed ecco il risultato, umiliante, ad esempio per Giuseppe Verdi, l’autore più scenografo e regista, insieme a Wagner, della storia operistica: ecco il Simone Boccanegra, in carnezzeria; ecco Violetta «battona» volgare.

Certo a Busseto non occorreva una regia, trattandosi di cori (Lapalisse!), ma l’idea vincente del Maestro Faggiani al concerto corale di sabato è stata quella di commentare, spiegare il recondito significato del linguaggio musicale con sagace lessico di uomo colto. Il pubblico ha ammirato la sua gestualità che, secondo alcuni, è efficace soprattutto perché imperiosa, gli diciamo al termine della serata. Antica e alta lezione musicale, matrioska di impliciti valori morali e civili, con la quale il direttore romano, musicista raffinato e insieme pragmatico facitore di fatti, da ventidue anni a Parma, ha dimostrato l’esigenza di una programmazione fondata su scelte artistiche «rivoluzionarie», che ambiscano a conquistare un ruolo di offerenti al mondo intero spettacoli di valore assoluto, reinterpretazioni verdiane e allargamento dei confini sia per quanto riguarda la Stagione lirica sia per il Coro del Teatro Regio: una delle anime più amate della Parmigianità, un’istituzione radicata nel costume e nel carattere dei Parmigiani.

Non è certo esagerato dire che il Coro è uno dei simboli civili e artistici che alimentano quel senso di appartenenza, senza il quale non resta che la decadenza dei valori comunitari. C’è stata maretta, anzi contestazione aperta e gridata da parte del Coro contro la decisione della dirigenza di ingaggiare i colleghi di Bologna per l’opera principale, quella dell’apertura del Festival Verdi. Una decisione vissuta come un’offesa da parte degli artisti e del loro Maestro: «Tra l’altro - spiega Faggiani - decisione presa in un momento particolarmente delicato. Si va verso un nuovo assetto e anziché rafforzare uno dei punti di forza del Teatro lo si tratta come un oggetto obsoleto e improduttivo. Non posso che dire ad alta voce ancora una volta che si sta sbagliando strada, castigando la Parmiginità: uno sgarbo e un’indifferenza punitiva ingiusti».

Un personaggio molto interessante è il Maestro Faggiani, che incontriamo dopo la splendida serata di grazia nel teatro bussetano, insieme alla compagna Ernesta. Se passate davanti al Teatro Regio, non è improbabile che vediate lì attorno un uomo ben piazzato, la faccia un po’ cicatrizzata da centurione romano, vestito secondo i comodi dettami dell’anti-moda, il cui primo comandamento suonerebbe come un divieto ostativo assoluto: Mai indossare un indumento stirato! Seguito dall’obbligo intransigente del «Vesti strafognato!».

Sorride di gusto il Maestro dal gesto imperioso e dolce, levigato ed elegante, prepotente e ruvido. Un gesto efficace, gli diciamo, apprezzato dal pubblico. E lui: «Ma, che dire? Il mio è un gesto non particolarmente bello, anzi in certi momenti per ottenere o, meglio cercare di ottenere l’effetto più adatto a comunicare l’essenza recondita della musica, diventa addirittura ultimativo e forse brutto. Difficile da spiegare il rapporto tra il direttore e il coro o l’orchestra. Io cerco di trarre il canto e orientarlo, dirigerlo nel modo il più possibile vicino alle intenzioni scritte dell’autore».

Una sorta di levatrice che deve riscoprire e interpretare i segni neri come rondini appollaiate sul pentagramma, e riuscire a far rivivere il suono. Chiediamo a Faggiani come può un gesto fisico ottenere un effetto così metafisico: il direttore fa un cenno e il cantante intende che espressione dare alla sua voce: sembra impossibile! «Io cerco - spiega Faggiani - di aiutare gli interpreti recependo il flusso sonoro con la lettura della parte e poi tento di fare loro partecipi della mia idea musicale. Come? Con tutto il corpo, con il gesto, con la mano, mi sforzo di avere un gesto chironico!».

Il Maestro ogni tanto ricorre al Greco antico per trovare espressioni e parole efficaci. Chironico, da cheiro, la mano. Quindi Maestro Faggiani se lei fosse uno dei tre Ecatonchiri, i giganti dotati di cento mani, riuscirebbe meglio? «Ma no, allora piuttosto vorrei essere Argo dal corpo tutt’occhi; non mi sfuggirebbe niente». Dunque anche in musica l’occhio vuole la sua parte! In effetti trovarsi davanti a una bacchetta - ma anche a una rivoltella - non si prova alcunché: sono gli occhi e l’espressione di chi impugna quegli oggetti in sé neutri, che ci fanno capire cosa accadrà.

Sì, simpatico è il Maestro Martino Faggiani, dall’aspetto rude di Pollione nella «Norma» e invece finissimo madrigalista, nato a Roma, madre pianista, lui a sette anni già alle prese con il Titano dagli 88 denti, il pianoforte. Entra quanto prima al Conservatorio di Santa Cecilia. Studio rigoroso, duro, autocritico. Ma affabile, e chiacchierone. Lo ricordo nel 2010 all’Arena di Verona, il Maestro Faggiani era un uomo che camminava senza toccare terra, quello che riceveva l’Oscar della Lirica insieme a Carlo Bergonzi. Vagava felice nei meandri bui del retro palco per nascondere le lacrime di gioia. Cuore tenero in un temperamento dittatoriale.

Come e dove incontra la musica con la emme maiuscola, il nostro Maestro Martino? Vederlo dirigere le prove è uno spettacolo affascinante. Se andate su Youtube lo nel pieno della preparazione del «Macbeth» il capolavoro di Giuseppe Verdi nel quale il coro ha un ruolo più che principale. Faggiani ha un gesto d’impeto imperioso e poi di dolcezza nei pianissimi. Ma dove e come e quando il nostro Maestro Martino ha incontrato la musica? Qual è stato il primo suono che lo ha chiamato e avvinto? «Era il Gennaio del 1970», ricorda il Maestro, sorridendo, nel rivivere questa prima emozione musical-materna, così profonda da segnare per sempre la vita: «Sì, capii subito che la musica sarebbe diventata la croce e delizia della mia vita», commenta Faggiani che davanti alla richiesta di una seconda intervista propone una sorpresa: «Io dico il nome di una città e lei risponderà dicendo se è famosa e perché. D’accordo, Maestro, dica, E lui scandisce: «Stradella!» E io: «Musicista barocco assassinato, paese delle Fisarmoniche e di Agostino De Pretis». Bingo! Semplice per chi ha cantato in una corale, e aveva amici nell’Oltrepò Pavese. E simpatizzante, poi antipatizzante del Psi, ricorda che in in Italia, l’unico governo composto da soli esponenti della sinistra è stato presieduto da De Pretis. Eleggerlo segretario? Non si può, eravamo nel 1876.

Superata la prova, ritorneremo per farci raccontare l’interessante vita del Maestro Faggiani, musicista raffinato e colto che veste strafognato.