Intervista

Rolli e i retroscena del teatro: «Come la vita, è fatto di imprevisti»

Mara Pedrabissi

Il piacere ma anche la difficoltà di essere «profeti in patria» sul podio del Festival Verdi, fino al 16 ottobre a Parma e provincia; l'unicità della musica del Cigno ma anche le insidie del teatro «che è fatto di imprevisti, proprio come la vita». Sebastiano Rolli, 47enne maestro colornese, parla schietto, come è tipico degli uomini e delle donne della sua Bassa. E, simile a quei pioppi rivieraschi, snelli ma solidi che, a filari, mentre affondano le radici nella terra, si slanciano verso il cielo, così Rolli vive una carriera internazionale tenendosi ben stretta l'eredità familiare, a partire dal papà Ugo che, a 73 anni, dirige il Coro Paer da lui fondato nel 1974. Il pensiero a papà Ugo correrà un paio di volte nel corso dell'intervista, e in punti chiave.

Maestro Rolli, dopo «Falstaff» e «Traviata» a Busseto, quest'anno con «Il Trovatore» a Fidenza, è al suo terzo Festival. Cosa significa per un direttore «leggere» proprio qui la parola verdiana? Essere un «uomo della Bassa» è un aiuto o una responsabilità?

«Le ragioni native hanno la loro importanza e forse regalano qualcosa. Ho avuto modo di crescere con questa musica, a contatto con una tradizione talvolta ininterrotta, ma senza l’approfondimento dello studio accademico accanto a grandi esperti del repertorio non avrei potuto affrontare certe sfide. Questa è una terra che vive di una cultura che Verdi ha contribuito a creare sublimandola».

«Il Trovatore» - che ha debuttato il 24 settembre al Teatro Magnani e replicherà fino al 13 ottobre - è un'opera complessa. L'indimenticato sovrintendente del Regio Rubiconi amava molto questo titolo eppure ripeteva: «Se dovessi spiegare la trama, farei fatica». Anche musicalmente è un'opera difficile.

«Il Trovatore è un’opera difficile perché ha carattere prevalentemente sinfonico, al contrario di quanto si possa credere. E’ costruita sullo schema della forma sonata, e i rapporti tonali dei personaggi (trasformandosi in rapporti drammaturgici) sono lì a testimoniarlo. Il compianto Giampiero Rubiconi aveva ragione; Gabriele Baldini scrisse che le falle del dramma avevano costretto Verdi a colmare il tutto con un fiume in piena di musica pura e assoluta».

La sera della “prima” lo spettacolo è andato bene, pur con evidenti ombre. La regia minimalista non ha aiutato. Quali difficoltà maggiori?

«La sera della “prima” abbiamo condotto a termine, tutti assieme, una vera e propria impresa: le dimensioni del teatro e la morfologia della buca hanno sicuramente determinato difficoltà prevedibili; ma è stata soprattutto la situazione imprevista di dover sostituire le due interpreti principali femminili a prove ormai ultimate (se si eccettua la generale pubblica) a costringerci ad una lettura d’emergenza. Il Trovatore è un’opera che va provata, approfondita e rodata nella pratica esecutiva. Due sostituzioni improvvise così importanti ci hanno costretto a ricalibrare tempi e fraseggi praticamente in diretta (non solo radiofonica); l’obiettivo principale è diventato portare tutto in porto senza grossi danni. Non posso non ringraziare Anna Pirozzi e Enkelejda Shkoza per la professionalità e disponibilità. Il teatro è fatto anche di imprevisti, è un frammento di vita e nella vita non sempre le cose seguono il corso programmato. Nostro compito è quello di accettare i compromessi del caso, fare squadra, e mantenere la lucidità per modificare in corsa una lettura che altrimenti sarebbe stata differente».

Nel «Trovatore» ha incontrato il Coro del Regio, istruito da Martino Fagiani, che è stato un po' il protagonista morale, per le note vicende (e proteste) del Festival. Come ha trovato la compagine?

«Anche il Coro diretto da Martino Faggiani, come l’Orchestra, era a ranghi ridotti ma è rimasto sempre affidabile. Il Coro del Regio di Parma ha una lunga storia ed è la voce della città. Ho ricordi molto personali di questa storia perché legati a maestri con cui sono cresciuto: Adolfo Tanzi, Edgardo Egaddi, Marco Faelli (spesso Romano Gandolfi) ed anche, per qualche stagione, mio padre».

E' piaciuta, nel ruolo di Leonora il soprano Anna Pirozzi che ritroverà, ancora con il Coro, nel concerto sinfonico corale il 12 ottobre al Regio. Che appuntamento sarà?

«Sarà un concerto dedicato a tutti quei compositori che sono cresciuti nella continuazione del linguaggio verdiano, che con Verdi hanno un debito artistico e che sono stati vicini non solo a lui ma anche al suo primo e più grande profeta: Arturo Toscanini. Quindi sarà un programma nel quale Parma c’entrerà molto».

«Traviata» e «Trovatore» sono due opere della trilogia popolare: a un prossimo Festival vorrebbe chiudere il cerchio con «Rigoletto»?

«Rigoletto è la prima opera che ho ascoltato interamente: mio padre era primo contrabbasso dell’Orchestra Toscanini ed un’estate mi portò a seguire tutte le prove di Rigoletto a Busseto. Dirigeva l’indimenticabile Angelo Campori (un altro dei direttori con cui sono cresciuto), e lì cominciò tutto, un colpo di fulmine. E’ una delle più grandi partiture dell’Ottocento e certo non mi dispiacerebbe affrontarla nella mia Parma».