femminicidio

La mamma di Juana: «Genco mi ha fatto paura fin da subito»

Mirko Genco le fece paura fin da subito. «Teneva lo sguardo basso, si mordeva le mani: si vedeva che era tormentato. Ho subito temuto per mia figlia. Sarebbe un pericolo se uscisse, anche fra trent'anni». Dina Callenaupa Loayza parla solo nel castigliano del suo Perù. Arrivata in Italia nel luglio 2021 doveva fermarsi pochi mesi: è rimasta per il nipotino avuto da Cecilia da una relazione precedente a quella con il presunto omicida. «Lui aveva minacciato di morte anche me e il bimbo - ricorda -. È malato». Dina Loayza è tra le parti civili nel processo (con lei, tra le altre, il nipote, il padre del bambino, il Comune di Reggio). «Arrivata madre, ora è solo nonna - sottolinea Giovanna Fava, l'avvocato che l'assiste -. Una situazione non contemplata dal dizionario: non c'è una parola per il genitore che perde un figlio». Non solo. Finora «non è stata disposta un'assistenza psicologica per la mamma di Cecilia».

A Reggio per testimoniare il sostegno del Centro antiviolenza di Parma (anni fa al fianco di un'altra donna che aveva denunciato Genco), c'è la presidente. Samuela Frigeri è in Corte d'assise anche come avvocato della reggiana Non da sola, a sua volta parte civile nel processo. Samuela Frigeri e la presidente della onlus Federica Riccò esortano le donne «a chiedere aiuto già prima della denuncia. Non restate sole, rivolgetevi alle associazioni». Infine l'appello a «una valutazione molto attenta prima di concedere la condizionale. C'è un grave problema di pericolosità».

rob.lon.