Caso Aqualena

Di Michele, via ai domiciliari ma non c'è un «braccialetto» disponibile: per ora resta in carcere

Georgia Azzali

Una raffica di domande e risposte. Quasi cinque ore di interrogatorio di garanzia davanti al gip, venerdì mattina. Ma anche l'autosospensione dalla professione messa nero su bianco. Così il giudice ha dato il via libera ai domiciliari per l'avvocato Antonio Dimichele, finito in carcere una settimana fa nell'operazione portata avanti dalla Finanza che ha riacceso i riflettori sull'impianto sportivo Aqualena e sul vortice di società che ruotava attorno. Arresti tra le quattro mura di casa, ma con tanto di braccialetto elettronico. E qui nasce il problema, perché finché non ce ne sarà uno disponibile (potrebbero anche passare alcuni giorni), Dimichele, 48 anni, resterà in carcere. Dove resteranno anche i fratelli Antonio e Marcello Vetere, rinchiusi nel penitenziario di Reggio Emilia. Durante l'interrogatorio di garanzia i due imprenditori si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, ma la richiesta dei domiciliari è stata «bocciata». Ora i difensori Helmut Bartolini e Michelangelo Strammiello faranno ricorso al Riesame.

Stessa scelta anche per la difesa di Dimichele, nonostante la concessione dei domiciliari. L'interrogatorio fiume e l'autosospensione, prima della decisione del Consiglio distrettuale di Bologna (competente per i provvedimenti disciplinari), hanno convinto il gip che i domiciliari, con il braccialetto elettronico, fossero una misura sufficiente per arginare il rischio di reiterazione dei reati. Rischio che, secondo il gip, rimane comunque «concreto e attuale».

E' il sistema messo in piedi negli anni da Vetere e soci ad aver consentito di mandare avanti società che cambiavano nome, avevano (formalmente) altri titolari, eppure gli amministratori di fatto sarebbero stati sempre i due fratelli, 66 e 54 anni, origini calabresi, ma da tempo con casa e affari in Emilia. I due imprenditori avrebbero però potuto contare sull'avvocato Dimichele, che avrebbe suggerito loro come muoversi predisponendo anche alcuni contratti.

Diciannove gli indagati in totale e una lunga serie di reati, a partire dall'associazione a delinquere, contestate sia ai fratelli Vetere, considerati fondatori e capi dell'organizzazione, che a Dimichele, ritenuto un membro stabile del gruppo. Un'associazione finalizzata alla bancarotta fraudolenta e all'autoriciclaggio (reati contestati anche a Dimichele), oltre che alla truffa e a numerosi reati tributari. Le imposte evase? Più di 2 milioni e 700mila euro, secondo gli inquirenti. E Dimichele avrebbe fornito un'assistenza tecnico-legale «finalizzata a suggerire sistemi e modalità di elusione fraudolenta della legge - scrive il gip nell'ordinanza -, oltre che a inficiare il corretto andamento delle procedure concorsuali ed esecutive». Ma avrebbe spesso patrocinato anche i prestanome, accompagnandoli anche agli incontri con i curatori fallimentari «in modo - sottolinea il giudice - da poter guidare le loro propalazioni ed evitare così che emergesse chi di fatto aveva amministrato le (società) fallite».

Ora potrà lasciare il carcere. Ma prima dovrà arrivare uno dei (pochi) braccialetti disponibili.