IL CASO
Le nozze combinate in India, poi tre anni di violenze: condannato il marito aguzzino
Era già stata tradita dalla famiglia. Non sapeva nulla di quell'uomo che sarebbe diventato suo marito, se non che aveva 17 anni più di lei, una ragazzina che aveva dovuto accettare un destino scritto da altri. Le avevano combinato il matrimonio, e un anno dopo era stata catapultata dall'India all'Italia. Ajala (la chiameremo così) non conosceva una parola della nuova lingua e non aveva alcun punto di riferimento. Sola, a Parma, con uno sconosciuto al suo fianco che fin da subito era diventato il padrone della sua vita. Insulti, botte, umiliazioni, perché lei era colpevole di tutto ai suoi occhi, anche del fatto di essere così tanto più giovane di lui. Eppure, quando lei aveva tentato di allontanarsi, l'aveva minacciata: «Facciamo sesso, oppure mando in giro i video dei nostri rapporti». Immagini di cui non sapeva nulla. Un altro inganno, forse. Come il matrimonio con quell'estraneo. Che l'altro ieri è stato condannato (con rito abbreviato) a 4 anni per maltrattamenti e lesioni dal giudice Beatrice Purita.
E' ancora una ragazza, Ajala, ma a 26 anni ha già conosciuto il peggio. Si era sposata nel marzo del 2018, e di quel giorno ricorda solo la paura. La paura di cosa sarebbe venuto dopo. Eppure, un anno dopo, quando aveva saputo che il suo futuro sarebbe stato in Italia, aveva lasciato spazio a un po' di speranza.
Lei e il marito si erano subito stabiliti a casa di amici, nella Bassa. Un periodo breve, poco più di un mese, ma sufficiente per capire che non avrebbe più potuto illudersi. Erano state settimane di vessazioni, nonostante spesso non fossero soli in quell'appartamento: offese e botte perché - a suo dire - la famiglia di Ajala non sarebbe stata sincera sulla sua età.
Una bambola di pezza nelle sue mani, almeno così avrebbe voluto. Il giorno dell'anniversario di matrimonio l'aveva portata a festeggiare a casa di un'amica, ma non aveva trovato alcuna solidarietà femminile. Anche lì era stata offesa, eppure la donna le aveva detto che avrebbe dovuto abituarsi a quelle angherie. Così complice del marito che, insieme a lui , aveva cercato di convincerla a fare sesso a tre.
Non si era mai fatto scrupoli, nemmeno quando non erano soli. Come quel giorno di fine aprile del 2019: era bastato che lei facesse un po' di rumore aprendo l'armadio della camera perché lui balzasse fuori dal letto e le mettesse le mani al collo. Poco importa se in casa ci fossero sua madre e un altro parente. Ma d'altra parte nessuno fiatò.
Non aveva ancore di salvezza, Ajala. Le era proibito anche avere contatti con la sua famiglia in India: non si sa mai che potesse rivelare l'inferno in cui era precipitata. Il 1° maggio 2019 era stata ancora presa per il collo, scaraventata sul letto e riempita di pugni, sempre nell'indifferenza della suocera e dell'altro parente. Ma quella volta aveva deciso di andare in Pronto soccorso, e due giorni dopo aveva trovato anche la forza per fare denuncia. Le avevano trovato un posto in una struttura protetta, ma lui era andato al contrattacco: minacce telefoniche e intimidazioni anche ai suoi familiari in India. Aveva scoperto il centro in cui era stata inserita e non le dava tregua. Così, Ajala aveva acconsentito a incontrarlo un paio di volte. Solo un pretesto per tornare a minacciarla e a infliggerle l'ennesima umiliazione: atti sessuali in un luogo appartato, a poca distanza da un supermercato, dopo averle mostrato alcune sue foto nuda. «Le mando a tutti», aveva sibilato. E Ajala aveva ceduto.
Le stava col fiato sul collo. Finché lei si era decisa a ritirare la querela. Ma non era bastato. Era anche riuscita a trovare un lavoro, eppure aveva abbassato la guardia, finché era tornata a vivere con lui. Un altro anno insieme. Un altro anno di minacce e violenza. Finché Ajala se ne era andata in un'altra casa. Eppure l'ombra di lui ha continuato ad aleggiare. Un cordone di paura e sudditanza difficile da spezzare.