L'INFERNO IN CASA
Botte e umiliazioni a moglie e figlio: condannato a 5 anni
Una cena in pizzeria tra colleghi. Molte persone attorno a un tavolo e tanta voglia di sorridere. Eppure, gli era bastato vederla accanto a un altro uomo per aggredire sia lei che lui. Ossessivo, fino a voler diventare il regista di ogni istante della vita della moglie. Per nove anni, spesso anche sotto l'effetto di alcol e droga, l'aveva umiliata, picchiata, assediata con fiumi di messaggi e telefonate, anche quando le loro strade di erano separate. Costretta a subire i suoi desideri sessuali per evitare di discutere all'infinito o di essere presa a calci e pugni. Nemmeno con il figlio si era fatto scrupoli: aveva messo la testa del bambino tra le sue ginocchia che stringevano fino a farlo urlare per il dolore. Origini albanesi, 39 anni, accusato di maltrattamenti e violenza sessuale, ieri è stato condannato a 5 anni dal collegio presieduto da Alessandro Conti. Il pm Andrea Bianchi aveva chiesto sei mesi in più.
Una parentesi lunghissima di mortificazioni e abusi, eppure Vera (la chiameremo così), anche lei albanese, non aveva mai denunciato. Pochi mesi prima di quella cena in pizzeria, lo scorso febbraio, aveva ottenuto che lui se ne andasse a vivere da alcuni parenti. Eppure lui aveva continuato: si appostava sotto casa o nei posti in cui sapeva di trovarla. E nemmeno nei confronti del figlio aveva mostrato pentimento. Il 18 marzo scorso, dopo aver citofonato più volte, aveva urlato tutto il suo rancore anche nei confronti del ragazzino: «Sei un bastardo, ti spacco la faccia».
Era anche finita in Pronto soccorso, Vera. Eppure non aveva mai puntato il dito contro il marito. Ma dopo l'aggressione in pizzeria tutto era cambiato. Dopo aver fatto la sera stessa le prime rivelazioni ai carabinieri, che erano intervenuti nel locale, un paio di settimane dopo si era presentata in caserma. E aveva cominciato il suo racconto di dolore.
Aveva messo in fila tutto di quei nove anni: lui che la schiaffeggiava, che le stringeva il collo e poi la colpiva con una testata urlandole “finirai in strada, sei una str... di m...”. Violento davanti a tutti e due i figli, un maschio e una femmina ancora piccoli.
Lei era sempre sotto accusa. Sotto accusa perché lui le attribuiva schiere di amanti. E quello era lo squallido alibi per ingiuriarla, subissarla di domande e per controllare i suoi spostamenti, persino quando sapeva benissimo che se ne andava a lavorare.
Anche i rapporti sessuali erano spesso solo pesanti umiliazioni, perché era lui che imponeva come e quando, e Vera doveva adeguarsi per non farlo infuriare.
Inarrestabile anche quando era andato a vivere a casa delle sorelle, perché voleva mantenere comunque il controllo su Vera e i figli. Distante da casa, ma sempre presente, con quelle apparizioni improvvise davanti al portone o con quelli squilli che tormentavano la moglie ad ogni ora.
Così insistente e temibile che nei mesi scorsi il gip ha fatto scattare il divieto di avvicinamento a tutta la famiglia. Ma la condanna di ieri - se diventasse definitiva - lo porterebbe dietro le sbarre.
Georgia Azzali