C'era una volta

Zucche, fantasmi e scherzi: Halloween alla parmigiana

Lorenzo Sartorio

La tradizione, molto in voga negli Stati Uniti e in Inghilterra, vuole che la sera dei Santi 31 ottobre, nota come «notte di Halloween», i ragazzi, travestiti da fantasmi, bussino alle porte delle case pronunciando la popolare frase «dolcetto o scherzetto».

Forse pochi sanno che, anche dalle nostre parti, imperversavano i fantasmi che, non necessariamente, apparivano nella notte dei Santi. Ad esempio, nell'osteria del Pianlà in viale San Michele, all'angolo con Strada Nuova, dove fu siglata, nel 1893, la pace fra «barnabotti» e «benedettini», una sorta di bande dei rispettivi quartieri cittadini che si prendevano continuamente a sassate, la leggenda vuole che l’oste, nella buia cantina, in certe sere, quando andava a spillare il vino dalle botti, incontrasse un fantasma che appariva all’improvviso reggendo una lanterna. Alcuni anziani che frequentavano l’osteria attribuirono questa inquietante presenza al vicino Ospedale di San Michele dell’Arco, ubicato in Strada Nuova, gestito dalla Confraternita del Santissimo Sacramento di San Michele che ospitava in massima parte anziani soli ed indigenti.

L’ospedale, attivo già nel XV° secolo, nel 1810, fu soppresso da Napoleone come l’attiguo piccolo cimitero che sorgeva nel terreno di proprietà della Confraternita alla fine della strada, fronte viale San Michele. Ed allora un anziano che risiedeva in Strada Nuova era convinto che il fantasma dell’Osteria Pianlà fosse «l’àlma d’un véc' mort in-t-l ’Ospdäl lì taca e che 'na cuälca sira la fäva un gir in-t-la cantén’na 'd l’ostaria par bévor un bicér».

Quante volte, in estate, per assaporare un po’ di fresco, la gente, seduta nell’aia, straparlava di strane presenze in case diroccate dove «ci si sentiva».

Lo stesso refrain si riproponeva in inverno durante le veglie nelle stalle, oppure nelle cucine dinanzi al camino o negli essiccatoi mentre i montanari vegliavano il «pane dei poveri»: la castagna. Addirittura, nella notte del 31 ottobre, zucche intagliate, riproducenti volti spettrali con all’interno una candela per renderle ancora più inquietanti, venivano collocate nei pressi delle fontane, dei crocicchi e negli angoli più bui del paese. Erano le «lümere» della notte dei Santi. Per lo più, dove «ci si sentiva», accadeva nelle case o nelle rocche fatiscenti dove gli unici «residenti» erano: topi, volpi, gatti selvatici, gufi, civette, pipistrelli, bisce, lucertole e tutta quella fauna varia che la fantasia popolare ha relegato nei diabolici antri dove vivono le streghe.

Si parlava di questi luoghi con grande cautela e circospezione. Il sussurrare della gente, quasi per paura o timore di essere contagiata dal maleficio, sfiorava solo la descrizione senza addentrarsi mai nei particolari anche se la curiosità era tanta. Ed allora, a denti stretti, si citavano episodi accaduti a qualcuno che aveva avuto la sciagura di imbattersi nelle strane presenze di questi luoghi di mistero. Il più delle volte i racconti narravano di gente che, transitando di lì, fosse stata suo malgrado spettatrice di improvvisi bagliori, voli radenti di pipistrelli oppure avesse udito lamenti, urla strazianti, sbattere di porte e scuri, stridore di catene, fruscii, risate agghiaccianti ecc. Una miscellanea davvero temibile alla «Dario Argento» che la gente si tramandava di padre in figlio al punto che, quella casa , veniva messa all’indice dalla leggenda popolare e nessuno le si avvicinava per alcun motivo, pena la sciagura di esser stregati o contagiati dagli spiriti del male.

Ogni paese ed ogni borgo avevano la propria casa o una rocca dove «ci si sentiva», altrimenti di cosa avrebbero potuto discorrere i nostri nonni durante le loro veglie? In tutti i modi la saggezza vuole che quando una leggenda prolifera, un tantino di verità può anche esserci, magari ampliata ed infarcita dalle credenze popolari che si basavano sulla fantasia e i ricordi del passato. Solitamente erano i baldi giovanotti che, nelle sere estive, per farsi belli con le ragazze, sfidavano le credenze popolari e cercavano di perlustrare da vicino il luogo dove «ci si sentiva».

Ma il ritorno era pressoché immediato in quanto un rumore qualsiasi suggeriva agli impavidi «acchiappafantasmi» ante litteram di fare ritorno nella corte e starsene calmi, anche se molte volte alcuni burloni architettavano scherzi proprio nei luoghi sinistri per fare abboccare i creduloni. Comunque, il mistero rimaneva e la gente credeva ai fantasmi come pure al folletto («folètt») la cui insolente presenza era molto diffusa in numerose case della nostra collina dove faceva tantissimi dispetti sia alla «rezdóra» che al «rezdór».

Com’è noto, nel parmense, esistono luoghi dove si dice, o meglio, la leggenda narra di inquietanti presenze notturne come ad esempio nel maniero di Soragna dove si aggirerebbe lo spettro di Cassandra Marinoni, meglio conosciuta come «Donna Cenerina» assassinata nel 1573 unitamente alla sorella Lucrezia.

Ed ora pare che lo spettro color cenere (da qui «Cenerina») di Cassandra, si aggiri nelle sale del Castello divertendosi ad aprire e sbattere porte.

A Guardasone, invece, nelle notti senza luna pare che si aggiri tra i ruderi della «Guardiola» lo spirito senza pace di Ottobono Terzi. Oltre lo stridor di catene, c’è chi giura di avere udito i gemiti ed i lamenti di coloro che l’aguzzino fece giustiziare nel 1405. Si dice che a Noceto, tra i ruderi di un’antica fortezza medievale chiamata i «muroni», a qualcuno, siano apparsi i fantasmi di antichi guerrieri armati di lance e spade.

Altri fantasmi sarebbero di casa nello splendido maniero rossiano di Torrechiara e apparirebbero nelle notti di luna piena. A Felegara, in una casa oramai diroccata, all’interno di un muro, vennero rinvenuti degli scheletri. Secondo la leggenda, la casa, fu abitata da una donna la quale, dopo la cruentissima Battaglia di Fornovo, frugò tra i resti per raccattare denaro nelle saccocce dei morti o presunti tali.

Tra loro rinvenne un ferito che portò a casa, curò, divenne il suo amante e, dalla relazione, nacque un bimbo. Il marito della donna, tornato dalla guerra, uccise la moglie ed il piccolo seppellendoli nella cantina della casa.

Qualcuno pare che abbia udito provenire dalla cantina gemiti e scalpitìo di cavalli. Inoltre fu vista una donna che fuggiva insieme ad un bambino rincorsa da un uomo a cavallo che brandiva una spada. Le figure poi svanirono nel muro da dove provenivano i gemiti.

Anche il castello di Bardi non è immune da presenze inquietanti. Il fantasma di casa è quello di Moroello, comandante delle guardie, vissuto nel ‘400 e suicidatosi per amore.

Addirittura, il fantasma di Moroello, fu fotografato alcuni anni fa da un gruppo di studiosi di Bologna e la foto fu pubblicata dal mensile «Focus» del dicembre 2001.

Sempre nel bardigiano, esattamente nella frazione «Case Scapini», la leggenda vuole che, alla notte, si avvertano strazianti urla di bambini.

A Montechiarugolo pare che, a maggio, nella «dolce stagion de’ fiori», quando le gaggie profumano di miele e di sole, appaia il fantasma di Bema: una splendida fanciulla che ritorna nel proprio maniero sperando di rivedere il cavaliere di cui era innamorata.

Altre strane presenze, sempre secondo la leggenda, riguardano anche le Torri dei Castiglioni a Zibana di Palanzano, i ruderi dell’Abbazia di Linari, poco dopo il Passo del Lagastrello, dove nella notte di Santa Lucia, qualcuno avrebbe udito i dolci «cantari» di un trovatore medievale che riparò nell'abbazia in una notte d’inverno.

Ma esistono tantissimi altri posti dove sorgono case nelle quali «ci si sente» come, ad esempio, in tut-
ta la zona matildica, ai confini con la Lunigiana e la Garfagnana ed in alcuni sperduti borghi del nostro appennino dove, tra le dirute case in pietra, in certe notti, l’urlo del vento bofonchia strane cose.

Lorenzo Sartorio