INTERVISTA

L'egittologo Tiradritti: «Ecco chi era Tutankhamon»

Francesco Mannoni

Quando cento anni fa, il 4 novembre del 1922, nella Valle dei Re fu scoperta la tomba di Tutankhamon, il giovane faraone scomparso all’età di 18 anni (1341 a. C – 1323 a. C.), molti misteri dell’antico Egitto non furono più tali. La tomba intatta, sfuggita alle razzie dei tombaroli, con tutto il corredo funebre composto da decine e decine di oggetti e la splendida maschera funeraria d’oro della mummia con incastonate diverse gemme venuta alla luce dopo tremila anni, infervorarono non solo il suo scopritore, l’archeologo ed egittologo britannico Howard Carter, ma il mondo intero.

Ma chi fu veramente questo sovrano della XVIII dinastia?

«Di Tutankhamon non si sa molto a parte ciò che abbiamo trovato nella tomba. Anche l’età è dubbia. Risale ad analisi che sono state fatte cent’anni fa quando l’antropologia lasciava un po’ a desiderare» spiega l’egittologo toscano sessantunenne Francesco Tiradritti, direttore della Missione archeologica Italiana a Luxor che opera dal 1995 allo scavo, il restauro, lo studio e la valorizzazione del Cenotafio di Harwa, un monumento di notevoli dimensioni dell’VIII secolo a.C. situato nella riva occidentale di Luxor. La sua decorazione è considerata uno dei massimi raggiungimenti dell’arte egizia. Nel 2021 ha condotto anche un progetto che ha portato alla creazione della prima missione epigrafica a distanza che studia e analizza testi geroglifici del Cenotafio di Harwa. «Tutankhamon è un sovrano che si è trovato a vivere in un momento delicato della storia dell’Egitto, in quella che viene erroneamente chiamata dell’eresia amarniana del faraone Akhenaton che attuò una riforma religiosa, ma soprattutto politica - spiega l’egittologo -. Fu un tentativo della corona di riaffermare la propria sovranità su uno stato in cui i servitori del “Nascosto”, i sacerdoti di Amon, cominciavano a praticare uno strapotere sull’Egitto e a contrastare il potere del sovrano. Tutankhamon regnò in quel periodo, coadiuvato dai molti funzionari che lo circondavano, a cominciare dai militari, i nobili che incidevano tantissimo sulle decisioni della corona e i sacerdoti. Sappiamo molto di più di tutta questa pletora di persone che circondava Tutankhamon che di lui, e ho scritto un romanzo (in passato ho scritto solo opere scientifiche) per raccontarne la breve, ma importante vita».

L’opera, intitolata «Il sangue del falco. Tutankhamon e il destino del regno» (Rizzoli, 416 pagine, euro 16), è un romanzo storico intrecciato alle vicende note del sovrano, dei suoi antenati, della sua sposa e amanti e dei complotti che attentarono alla sua sovranità, in un sovrapporsi di scene romantiche, di scontri armati, di guerre e delitti compiuti con feroce determinazione. Alla ricostruzione del tempo e della vita di uno dei più importanti sovrani del passato delle Due Terre nel IX e nel X anno del suo regno, Tiradritti ha dato il dinamismo, l’atmosfera e le scansioni di un thriller tra inondazioni, riemersioni e raccolti, trasportandoci indietro nel tempo e togliendo ai personaggi la polvere dei millenni.

I complotti che minacciavano la vita del giovane faraone, erano frequenti nel passato?

«I complotti di cui parlo nel romanzo ci furono durante la controriforma di Tutankhamon. Dopo Akhenaton che nel XIV secolo a.C. aveva sostituito il culto delle tante divinità con il culto esclusivo al dio del sole, Aton, spostando la capitale ed abbandonando Tebe, si tornava alla tradizione. Ma c’era chi avendo assaporato la libertà dell’affrancamento dalle vecchie divinità non voleva ritornare al passato e adorare solo il dio unico. I contrasti erano forti, e che sfociassero in complotti veri e propri era più che possibile, ma la morte di Tutankhamon che propongo io è solo teoria. Questo giovane sovrano è morto in dieci modi diversi secondo la moderna egittologia. Persino l’FBI ha fatto delle inchieste giungendo alla conclusione - nonostante la distanza temporale dai fatti -, che era stato assassinato. Il responsabile delle tante teorie complottistiche sarebbe stato Ay, il successore di Tutankhamon. Vero, non vero?».

La passione di Tutankhamon per la bella cantatrice è del tutto credibile considerata la sua giovane età?

«Io faccio cominciare il romanzo a sedici anni e racconto due anni di regno di Tutankhamon. Il mio è anche un romanzo di formazione, come un giovane vive l’amore e determinate esperienze amorose, perché di fronte all’amore con l’A maiuscola ognuno ha soggezione. Noi uomini tentiamo sempre d’essere baldanzosi e fieri, ma di fronte alla donna che ci ha colpito al primo sguardo, al primo bacio siamo già preda dei suoi desideri. Siamo degli omaccioni, ma siamo anche dei romanticoni. Tutankhamon sbaglia da uomo, e volevo mettere in luce questo suo comportamento che non è quello di un sovrano, ma di un uomo innamorato che pur di avere la donna che ama è pronto a molti compromessi».

Quanto fu importante politicamente il regno di Tutankhamon?

«Il periodo di Tutankhamon nonostante sia durato solo una decina d’anni è stato fondamentale per la formazione del nuovo Egitto, anche se a vincere la partita furono i militari. Ay era un militare, il suo titolo maggiore era quello di “padre del Dio”, equiparabile al “tutore” di oggi, ma era soprattutto il comandante della cavalleria. Dopo Ay divenne faraone un altro militare, Horemheb, al quale seguì tutta una dinastia di militari a cominciare da Ramesse I. L’epoca di Tutankhamon rispecchia quello che sta succedendo anche nell’Egitto del nostro tempo. Da Nasser in poi, i governi egiziani sono stati guidati tutti da dei militari. Abbiamo un chiaro parallelismo con l’Egitto moderno e quello di Tutankhamon».

Che cosa ha significato la scoperta della sua tomba nel 1922? Quali elementi ha svelato e come ha arricchito la storia dell’archeologia?

«Quella scoperta è stata una specie di bomba, un’esplosione planetaria: è stata l’unica tomba scoperta intatta con un tesoro che rappresenta un unicum. E soprattutto, lo scopritore Carter, è stato geniale, un archeologo fino in fondo, che ha avuto la coscienza che nessuno aveva avuto prima di lui. Invece di svuotare la tomba come abitualmente si faceva in quattro e quattr’otto, ha documentato con la fotografia tutte le fasi dello svuotamento e anche oggi si riesce a ricostruire com’era l’interno della tomba sapendo dov’era ogni oggetto. Secondo me è stata la metodologia di scavo che Carter ha usato che ancora oggi ci permette di studiare la tomba di Tutankhamon nella sua pienezza: studi che ci hanno dato e ci stanno dando una serie infinita di informazioni sulla sua vita. Dopo cento anni, dal punto di vista scientifico questa tomba è ancora da studiare».

Dei personaggi del romanzo, quali sono inventati e quali reali?

Ho inventato solo alcune figure femminili: la maggior parte dei personaggi sono reali tratti dai documenti dell’epoca in cui ha vissuto Tutankhamon, non solo in rapporto a ciò che è stato trovato nella tomba: ma molto di lui abbiamo appreso dalle persone che lo circondavano. Ho lavorato sui documenti che esistono su questi personaggi, e ho desunto i caratteri del sovrano descritti nel romanzo.

Il modo di agire e pensare dei personaggi di tremila nani fa è simile a quello dei nostri giorni: una scelta narrativa?

«Non è una scelta narrativa: la mia è una scelta scientifica. Come tutti sono partito con la mistica dell’Egitto antico, delle persone che pensavano solo a morire, - è una frase detta da un famoso egittologo belga – e ho trovato nel corso delle mie ricerche, testimonianze di una vivacità e di una contemporaneità straordinarie. Le parole di un indignato di tremila anni fa che riusciva persino a descrivere personaggi del nostro tempo sostenendo che ci sono persone che fanno sempre quello che gli pare in barba ad ogni tipo di regole. Studiando e scrivendo sono arrivato a conoscere gli antichi egizi che per me sono persone vive. Ho cercato di spogliarmi di tutta la mia cultura, di tante cose stratificate in me e di liberarmi di tante inibizioni per capirli a fondo. Nel racconto c’è una trattazione sull’amore e sui rapporti interpersonali molto più liberi. Antropologicamente mi sono un po’ rifatto alle tribù africane, perché così vedo gli egizi. Noi siamo così e loro erano come noi, sono contemporanei perché non sono cambiati: amavano, parlavano sentivano quelli che sentiamo noi oggi. Li sento come dei vicini di casa».

Francesco Mannoni