Parma Film Festival
D'Azeglio gremito per Ocelot: «La mia tecnica? Fare come voglio»
Michel Ocelot, dal vero, ha creato la magia per i piccoli spettatori del suo «Principi e Principesse» al Parma Film Festival. Cinema D’Azeglio gremito di bimbi e ragazzi in quest’anteprima (sold out) della kermesse cinematografica cittadina. Trasformare lo schermo in sogno è il tocco da maestro di Ocelot, geniale con naturalezza. «Ecco, vi ho portato il Principe e la Principessa » ha detto, estraendo da una bustina due nere sagome di carta e una forbice, durante l’incontro con il pubblico, moderato dai critici cinematografici Filiberto Molossi e Benedetta Bragadini, tra i promotori di Parma Film Festival. Un momento topico, a lungo applaudito, con cui il regista francese (autore di capolavori come «Kirikù e la strega Karabà», «Azur e Asmar», «Dililì a Parigi») ha vestito l’intero racconto di emozione.
«Principi e Principesse», fiaba d’animazione del 2000, da poco restaurata dalla Cineteca di Bologna, ispirata alla tecnica del teatro delle ombre, narra il viaggio nel tempo e nello spazio di due ragazzi, tra Antico Egitto, Medioevo, arte giapponese e fiabe classiche. «Volevo raccontare storie che ci portano altrove ma anche che ci portano da qualche parte»: l’introduzione live di Ocelot. «Ho realizzato il film con queste due cose: carta e forbice. E un po’ di fil di ferro per le giunture. Stile? In realtà non avevo soldi. La prima parte della mia vita è stata difficile, senza lavoro né denaro. Tenevo atelier per bambini. Un giorno mi sono detto: permetterò loro di realizzare ciascuno un proprio film d’animazione. Hanno fatto cose straordinarie, con immagini forti e pure, quasi professionali. Lì ho capito di aver trovato la mia tecnica. Tutto questo è avvenuto in Danimarca, nella città natale di Christian Andersen».
Michel Ocelot intaglia parole per la platea. «Dai racconti tradizionali di tutto il mondo prendo idee creative. Inoltre, m’ispiro ai miei desideri. Se mi piacciono i disegni giapponesi, faccio un film sul Giappone». La sua scaletta produttiva va dalla storia ai dialoghi, fino allo storyboard. «E’ il lavoro più lungo: richiede circa un anno. Intanto creo i personaggi, disegnandoli man mano. Voglio che le cose vengano rappresentate in modo preciso, anche le note delle canzoni».
C’è un’eleganza raffinata e schietta in ogni intervento del regista: «Conquistare un posto d’onore tra l’animazione americana e quella giapponese? Non è stato affatto difficile, perché io sono io e non ho mai cercato d’imitare qualcuno. Seguo il mio percorso: penso di essere stato così fin da bambino». Non sorprenderà, dunque, che la sua nuova opera, in uscita il prossimo anno, «Le Pharaon, le Sauvage et la Princesse», «violerà un po’ le regole». «Una delle mie tecniche - incalza - è fare come voglio».
Non aspettiamoci un lungometraggio ma tre film: si va nell’antico Egitto sulle tracce dei faraoni neri (omaggio alla sua infanzia africana), in una leggenda medievale nel cuore della Francia, tra inebrianti suggestioni turche. Per il pubblico del D’Azeglio, poi, l’anticipazione golosa: «Il mio prossimo film è ispirato al ‘400 italiano». Le domande si fanno corali. Com’è nato «Kirikù»? «Ho tenuto il meraviglioso inizio, però, rispetto alla fiaba africana, desideravo che il protagonista restasse bimbetto e volesse bene alla strega anziché ucciderla» spiega Ocelot. Un film sul «Piccolo Principe»? «Me lo chiesero gli eredi dell’autore. Ma il libro è già perfetto così. Poi nessuno, lì, si sposa: in ogni storia ci devono essere un ragazzo e una ragazza che si vogliono bene». Il finale è destinato a continuare. «Il mio film preferito? Come un buon padre, li amo tutti allo stesso modo. E di questi figli ne farò ancora».