Il giovane volontario
La «vacanza» di Federico: in Tanzania ad insegnare matematica
Quella di Federico D’Angelo non è un’ esperienza da inquilino sulla Terra o da villeggiatura nella natura. È vivere un luogo come se fosse la propria casa: è rispettare e credere al sole, alla pioggia, ma soprattutto all’essere umano. Ed è forse per questo che quando parla del suo viaggio intercontinentale, non lo fa dichiarandolo un’impresa solitaria di un giovane ventunenne, ma la partenza verso una libertà tutta da condividere.
Zaino in spalla, è partito due mesi fa, subito dopo la laurea in Food System all’Università di Parma, per Arusha, città nel nord della Tanzania. È partito «perché, dopo la pandemia, avevo accumulato la voglia di viaggiare e conoscere luoghi diversi, persone, modi di vivere che spesso ci sembrano estranei e lontani - racconta lo studente, ex allievo del liceo Maria Luigia -. Poi ho anche realizzato che non avrei più avuto il tempo di fare questo tipo di esperienza perché sarei stato catapultato nel mondo del lavoro. Così, convintissimo, mi sono messo in viaggio».
Viaggio geografico e umano: un’esperienza di volontariato, che Federico ha scelto autonomamente. Nessun intermediario, solo un pc su cui ricercare, chattare con persone del posto, volontari che erano già tornati. Tramite un sito web dedicato («Workaway») ha sfogliato un catalogo virtuale di esperienze e, tra queste, ha scelto quella «più eterogenea, completa e sfidante»: diventare maestro di inglese e matematica per una scuola di Arusha, allenatore di calcio («forse più compagno di partite») di un gruppo di ragazze della scuola, tuttofare per qualsiasi evenienza (anche aiutare a costruire una nuova scuola).
Forse, però, parlare di volontariato non è proprio corretto: «Non so, penso che siano molte di più le cose che le persone che ho incontrato in questi mesi abbiano lasciato a me, che io a loro - confida -. Mi porto dietro tante di quelle esperienze, momenti felici, alcuni malinconici, davvero straordinari».
Nel cuore rimangono delle istantanee piene di sentimento. Un abbraccio «durato un’infinità», un cappellino blu elettrico da togliere di sorpresa dalla testa per fare uno scherzo, occhi infinitamente felici, un pacchetto di pop-corn. È lì che i ricordi si fermano: «Durante la pausa uscivo sempre fuori da scuola per una passeggiata. Ogni giorno mi aspettava un gruppo di bambini che non frequentava la scuola. Giorno dopo giorno ci siamo conosciuti, io portavo loro una mela, un frutto. Poi giocavamo insieme a palla. Un pomeriggio – racconta – non li ho trovati seduti sul solito muretto. Ho aspettato un po’, poi li ho visti arrivare. Avevano in mano un pacchetto di pop-corn presi apposta da condividere con me. Lì mi sono davvero emozionato, è toccante ricevere da chi ha poco o nulla, quello che poteva essere l’unico pasto del giorno».
In questo scambio che contiene il meglio dell’umanità, Federico si è sentito «profondamente a casa». Lontano migliaia di chilometri dalla sua famiglia, ha scoperto un nuovo, calorosissimo affetto. Che lo ha fatto tornare a Parma «tristemente felice». Intanto, le valigie rimangono nella sua stanza, accanto ai libri per continuare il percorso universitario. Sono lì, pronte per andare alla scoperta di un’altra nuova libertà.
Anna Pinazzi