Il ricordo dei figli del netturbino investito
«Nostro padre un uomo perbene: ci ha insegnato a vivere»
«Siamo sconvolti, ovviamente, siamo increduli e senza parole. Ma una cosa la vogliamo dire: nostro padre ha speso tutta la sua vita per il lavoro, per fare la proprio parte e per contribuire alla società dove aveva scelto di vivere. Ed è morto così: lavorando. Come aveva sempre fatto». I quattro figli di Mohamed Choukry, dai 32 ai 19 anni, si stringono idealmente tra di loro, si fanno forza provando a ricacciare indietro le lacrime. E usano il presente parlando del padre. Perché adesso, ancora, accettare che resta solo il passato è troppo duro da accettare. «Papà è arrivato in Italia nel 1987 e dopo un primo periodo di precarietà si è subito inserito e integrato in città. Per tantissimo tempo ha fatto il camionista per una società di San Polo e solo di recente ha iniziato a sentire il peso di quei turni massacranti. Ecco perché da un paio d'anni aveva cambiato lavoro ed era entrato nella cooperativa».
«E anche qui si era subito fatto apprezzare: perché lui era così, una persona perbene e seria, uno che voleva dare il massimo. Un uomo che si impegnava per gli altri». Ricordarlo e ripeterlo oggi, che la sua vita è finita e in una maniera così assurda è straziante. Soprattutto pensando che, come racconta la nipote, «non potrà più portare al parco i due nipotini a cui era legatissimo».
Poi le parole si inceppano, il magone strozza la gola: ma la fierezza di ricordare una eredità che anche la morte non potrà strappare è più forte del dolore. «Ci ha trasmesso dei valori, ci ha insegnato come si vive: questo non lo dimenticheremo. E ci piacerebbe che per una volta il luogo comune, lo stereotipo sullo straniero non venisse neppure accennato. Noi siamo nati a Parma, qui c'è la nostra famiglia e nostro padre era un parmigiano. Innamorato della vita e che fino all'ultimo ha lavorato per la città».
Un legame ribadito anche dai colleghi che, subito, a botta calda, si sono ritrovati smarriti, in cerca di un modo per dire che «no, non si può morire così».
«E' inutile nascondere che questo dramma ha lasciato tutti noi sconvolti. Tanto che molti dei nostri collaboratori hanno, istintivamente, proposto di fermarsi, di non prestare servizio oggi. Che queste sono cose che non dovrebbero mai succedere». Fabio Faccini, presidente della cooperativa sociale «Cigno verde» parla scandendo le parole. Un modo per ribadire che, se ce ne fosse bisogno, si sta parlando di una vita. E non dell'ennesima statistica sugli incidenti da aggiornare.
«Poi abbiamo riflettuto e abbiamo deciso di spostare in avanti questo momento di riflessione: domani mattina ci ritroveremo insieme per ricordare Mohamed, per parlare di quello che è accaduto e per dare un segnale».
Un'esigenza comprensibile e molto umana: soprattutto di fronte alla scomparsa di una persona che da subito aveva saputo entrare nel gruppo. Diventarne una parte importante. «Di lui posso solo ricordare la profonda disponibilità, la capacità di creare un rapporto con gli altri colleghi. Era uno di quelli che con le parole e l'esempio hanno sempre saputo crearsi un proprio ruolo, diventare una figura di riferimento». Domani saranno tutti li a ricordarlo. Altrettanti a rimpiangerlo.
lu.pe.