Emergenza senzatetto

Bivacchi nelle strade e rifugi di fortuna ovunque

Luca Pelagatti

Non si nascondono neppure. Anzi, scelgono proprio un angolo riparato ma visibile. Perché nel mondo opaco delle ombre, nello sprofondo di chi ha per tetto un pezzo di cartone e per termosifone vino aspro in tetrapak, essere a portata di sguardo aiuta. Tra chi non ha nulla non esiste la legge. C'è solo la sopravvivenza. Ed è meglio poter chiedere aiuto, se serve.

Ed eccoli allora, facile trovarli: da qualche giorno alcuni di loro hanno piazzato un divano sfondato sotto il sottopasso della stazione, a fianco del tunnel che porta verso il parcheggio sotterraneo e la zona delle pensiline. Durante il giorno, di solito, è solo un ammasso di panni e molle sfondate. Ma verso sera arrivano le ombre che si inventano così un giaciglio.

«Qualche sera fa erano in due, addirittura - spiega un residente della zona che ha anche provato a segnalare la situazione alle forze dell'ordine. - Non per cattiveria o per cacciarli, sia chiaro. Ma perché non è giusto che siano ridotti così. Non c'è un posto dove ospitarli?».

Una domanda senza risposta, è evidente. Molti di quelli che sopravvivono nella strada non ne vogliono sapere di dormitori e centri di accoglienza, dove è vero che fa caldo. Ma dove ci sono tante regole da rispettare e altri come loro con cui condividere il poco spazio.  

«Ho provato a chiedere ad uno di questi poveretti se potevo aiutarlo ma non mi ha neppure risposto», aggiunge un altro residente che abita poco lontano e ogni giorno passa di qui. E spiega che se la miseria è sempre uguale, lo stesso non si può dire per le facce che si incontrano. «Sono in molti a gravitare qui intorno», è la frase ripetuta e confermata anche dai volontari che, dopo che è sceso il buio, distribuiscono pasti per chi ha bisogno di fronte alla stazione, dalla parte opposta rispetto ai portici. E il rituale è sempre lo stesso: arrivano alla spicciolata, prendono i sacchetti con quella cena di fortuna e poi, poco dopo, tutti spariscono. Perché è arrivato il momento di arrangiarsi per la notte.

Qualcuno di loro si rifugia nel sottopasso che collega i binari con il retro della stazione, in quel tunnel che sbuca nella piazzale delle corriere. E il mattino si trovano i segni del bivacco notturno.

Altri, invece, finiscono per infilarsi nelle scale che portano al parcheggio sotterraneo: rispetto al passato la zona pare molto meno frequentata. Ma certi cartoni stesi negli angoli sono inequivocabili ripari per il freddo che morde nella notte.

Più organizzato, ma non meno straziante, è quello che si incontra da tutt'altra parte, nel cuore dell'Oltretorrente dove quello che fu l'atrio del teatro Pezzani è divenuto da tempo rifugio per senzatetto. Che si sono costruiti una specie di camera da letto. C'è un materasso, copriletto e coperte, pareti di cartone e generi di prima necessità: colpiscono le bottigliette piazzate strategicamente dietro il materasso. Come l'acqua che ognuno di noi si porta sul comodino.

Dà molto meno nell'occhio, ma non per questo è meno a rischio soprattutto nel caso di piene, il rifugio di altri disperati che si sono costruiti una baracca di lamiera e sfalci assortiti nel greto della Parma, a due passi dalla vecchia Cà Rossa. Chi abita intorno parla di quattro persone almeno, che si rifugiano qui dopo il buio. «Si muovono come ombre, si vedono passare e poi scompaiono».

Loro come tutti gli altri, che a volte vediamo senza guardarli. Molto più facile scuotere la testa e tirare innanzi. Sperando che domani, qualcuno, abbia fatto sparire il divano. E soprattutto chi ci vive sopra.