Duomo

Forse due gli autori del dipinto ritrovato: Araldi e Jacopo Loschi

Monica Tiezzi

Spunta un'altra attribuzione per l'affresco della «Madonna delle Grazie» (così recita una scritta sul trono) con Bambino - e con i santi Pietro e Giovanni e Gioacchino ed Anna - ritrovato dietro un muro della cripta del Duomo. Del dipinto ha parlato Vittorio Sgarbi, critico d'arte e sottosegretario alla cultura, che l'ha giudicato «importante» e ha ipotizzato la mano del pittore Cristoforo Caselli. Al ritrovamento ha dedicato un servizio Rai3 nel notiziario regionale e si sta interessando il sito «Vatican news».

L'ultimo contributo al dibattito sul dipinto, in ordine di tempo, viene da Elisabetta Fadda, professoressa di storia dell’arte dell'Università di Parma e presidente del corso di laurea Magistrale in Storia e critica delle arti e dello spettacolo.

Partiamo dall'inizio: perché una Madonna in quel punto della cripta?

«Gli affreschi “ritrovati” sono quelli dell’altare dedicato a Santa Maria delle Grazie: o meglio, diciamo che in questo punto della cripta del Duomo di Parma c’era l’altare della Confraternita della Visitazione di Maria Santissima, altrimenti detta delle Grazie o dei ciechi. Era una confraternita che comprendeva anche i laici, ed era dedita a opere pie, in particolare, non diversamente che la Steccata, di dare la dote a fanciulle povere, di comprovata onestà».

È d'accordo con chi nota, come Sgarbi, differenze fra la parte destra e quella centrale e sinistra?

«Da quello che si può vedere, gli affreschi hanno una diversa cronologia e si distinguono due mani. La mano più antica (che avrebbe dipinto Gioacchino, Anna e Maria bambina, ndr) sembra quella di Jacopo Loschi, un epigone dell’artista che ha affrescato la limitrofa cappella Ravacaldi che aveva voluto Niccolò Ravacaldo, benefattore e zio di Francesco Maria Grapaldo. Jacopo Loschi era genero di Bartolino de' Grossi, aveva sposato sua figlia Lucrezia».

E l'altra mano?

«L’altra parte dell'affresco è successiva, sembrerebbe databile tra il 1505 e il 1515 ed è accostabile ad alcuni dipinti attribuiti ad Alessandro Araldi, quali il quadro proveniente dalla chiesa di Santa Lucia, poi temporaneamente nelle collezioni di Palazzo Sanvitale. Anche se per quest’ultimo quadro, qualcuno aveva pensato anche all’oscuro Josaphat Araldi».

Un nome importante, quello dell'Araldi.

«Su Alessandro Araldi ci sono ancora tante cose da scrivere e bisogna ripartire anche dalle sue opere firmate, che paradossalmente sono state spesso rigettate. Araldi dovette essere in stretta relazione con Francesco Marmitta e con Filippo Mazzola e la sua bottega, a cui qualcuno ha pensato per un’ipotetica attribuzione di questi affreschi ritrovati».

Perché lei esclude la mano, o le botteghe, di Francesco Marmitta o Filippo Mazzola?

«Non lo escludo; è che non c’è chiarezza se queste fossero botteghe diverse, e inoltre tutti questi artisti sono imparentati. Faccio un esempio: nel giugno 1505 sia Francesco Marmitta che Filippo Mazzola morivano di peste. Alla morte di Francesco Marmitta, le azioni di Alessandro Araldi sembrano proprio quelle di un suo erede».

Araldi era ancora attivo in quel periodo a Parma?

«Certo. Nel 1516 esegue la pala Centoni nel Duomo, in cui dipinge anche il ritratto di Ludovico Centoni, nipote di Francesco Marmitta, figlio di sua sorella Antonia. Per lo storico dell'arte Andrea De Marchi, a dipingere con Alessandro Araldi la Pala Centoni, doveva esserci forse Cristoforo Caselli, citato da Sgarbi e che è un altro dei nomi plausibili da fare se si vuole formulare un’attribuzione vedendo questi affreschi frammentari. Di Caselli si parla sempre per opere anteriori, ma fino al 1521 sappiamo che era vivo».

In questo affascinante intrico di botteghe d'arte, parentele e mecenati, si può supporre che i due presunti autori dell'affresco, diciamo Alessandro Araldi e Jacopo Loschi, abbiano collaborato anche altrove?

«Nella Camera dell’Araldi nel monastero di San Paolo non dobbiamo escludere la possibilità che fosse al lavoro un’equipe di artisti. L’attribuzione ad Araldi per gli affreschi della Camera dipinta a fianco ai celebri affreschi del Correggio non è unanime: nel Novecento, tanti hanno pensato di ricondurla non all’Araldi, ma a Cristoforo Caselli. La mia opinione è che nella Camera dell’Araldi ci sia anche la mano di Bernardino Loschi, figlio di Jacopo Loschi e nipote di Bartolino de' Grossi. E non escluderei ci sia anche uno dei figli di Filippo Mazzola, Zaccaria, fratello maggiore del Parmigianino».

Monica Tiezzi