PARMA
Padiglione Barbieri, dopo tre anni chiude il reparto Covid
Il padiglione Barbieri è stato uno dei simboli della pandemia. Uno spazio in cui sono stati ricoverati e curati migliaia di pazienti malati di Covid. Ora, a distanza di tre anni dall'inizio dell'emergenza sanitaria, si può finalmente parlare al passato perché da ormai qualche giorno, al Barbieri non ci sono più pazienti Covid.
I 51 malati di coronavirus attualmente ricoverati al Maggiore, sono suddivisi in vari reparti; la maggior parte si trova in clinica e terapia medica (33), i restanti agli infettivi adulti e pediatrici, in clinica pneumologica, in semintensiva pneumologica e in terapia intensiva. «Dopo tre anni, qui al Barbieri non ci sono pazienti Covid - conferma Tiziana Meschi, direttore della Medicina interna di continuità e del dipartimento geriatrico riabilitativo (ex Covid hospital) -. Sono stati mille giorni durissimi, ma finalmente possiamo tornare al nostro progetto originario, ossia ad occuparci dei malati geriatrici e dei pazienti fragili. Lo facciamo con grande soddisfazione e con la speranza che possa essere un ritorno alla normalità duraturo, ora che il Covid è passato da una fase pandemica a endemica».
Tiziana Meschi ringrazia tutti i colleghi medici, gli infermieri e i lavoratori che, a vario titolo, sono stati coinvolti in questa lunghissima emergenza sanitaria. «É stata una operazione corale, non solo del Barbieri, ma di tutta l'azienda sanitaria - rimarca -Tutti hanno collaborato per rendere possibile qualcosa che subito sembrava impossibile, si è trattato di uno sforzo disumano che mai dimenticheremo». Basti pensare che nei momenti di maggiore afflusso, «al Barbieri siamo arrivati a gestire 340 malati Covid in contemporanea, 750 in tutto l'ospedale e 1.200 se si contano anche gli ospedali e la case di cura presenti in tutta l'area della nostra provincia» ricorda. Ora che si torna alla normalità certi meccanismi, ormai entrati nella quotidianità, faticano a cambiare. «Chi si è fatto mille giorni dentro a una tuta, ora fa fatica a non indossarla più - afferma - è come se ci si sentisse nudi, o senza qualcosa di fondamentale».
L'emergenza Covid ha consentito ai medici di imparare tanto anche a livello professionale. «Siamo molto più preparati sulla ventilazione non invasiva - sottolinea - utile anche per pazienti non Covid; basti pensare alle insufficienze respiratorie legate all'influenza. Il patrimonio di conoscenze acquisite non lo disperderemo».
Le prime sensazioni positive sono arrivate nella primavera e nell'estate dello scorso anno. «In tre anni abbiamo dovuto fare i conti con diverse ondate - osserva - ma la scorsa primavera qualche segnale di passaggio a una fase endemica si intravedeva. Oggi la maggior parte dei pazienti positivi è qui per altre patologie, ma la polmonite interstiziale da Covid è diventata rara, e riguarda soprattutto pazienti con problematiche particolari e immunodepressi».
Ora è Aderville Cabassi, direttore dell'unità operativa complessa di Clinica e terapia medica, e la sua equipe, a occuparsi della maggior parte dei pazienti Covid ricoverati al Maggiore.
«I pazienti sono ricoverati al terzo piano del padiglione ortopedia - spiega Cabassi -. Al momento sono 33 i malati di cui ci stiamo occupando; alcuni hanno solo una positività al virus, mentre quelli con insufficienza respiratoria legata al Covid sono solo il 15 per cento. Di questi, due su tre sono no vax».
La situazione sta scemando anche in termini di nuovi accessi. «Non c'è più un costante ricambio di pazienti - conferma Cabassi - e molti sono malati con altre patologie, ma positivi al virus».
Marcello Maggio, direttore dell'unità operativa di Clinica geriatrica, divide l'emergenza Covid in due momenti. «La prima ondata è stata traumatica per tutti - spiega -perché non eravamo preparati a gestire qualcosa che era al di sopra delle nostre capacità e conoscenze. Poi, man mano che abbiamo conosciuto il Covid e sono subentrati i vaccini, la situazione è cambiata radicalmente».
«All'inizio inoltre - continua Maggio - avevamo lo spirito dei medici dell'emergenza, costantemente in prima linea, poi col protrarsi del problema la tolleranza allo sforzo si è andata riducendo». «Per noi - conclude - questo momento rappresenta una sorta di liberazione».
Luca Molinari