San Leonardo
Donna mette in fuga due baby rapinatori
Uno indossava una maschera da Batman, l’altro nemmeno quella: a volto scoperto stava rapinando un coetaneo a San Leonardo, in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti troppo intenti a guardare altrove. Solo ciò che stava facendo in un certo qual senso stava «mascherando», per come aveva trasformato l’aggressione in una specie di abbraccio. Aveva cinto il collo della propria vittima per sibilarle: «Sai che cos’è questo, no?». Si riferiva al coltello a serramanico infilato nei jeans: stringere il collo dell’altro, oltre a bloccarlo, serviva per obbligarlo a vedere che l'aveva e non avrebbe esitato a usarlo.
Erano le 14,30 di qualche giorno fa. Gente per strada ce n’era parecchia. Fin troppa, però, intenta a pensare solo ai fatti troppi. E meno male che tra tanti indifferenti (o poco perspicaci) c’era anche una quarantenne da sempre impegnata nel mondo del volontariato che invece i fatti propri non riesce proprio a farseli: nel senso migliore delle parole.
«Mentre guidavo nel traffico - racconta la donna - una strana scena che si svolgeva all’altezza di una fermata dell’autobus ha attirato la mia attenzione. Da una parte c’erano tre ragazzini sui 15-16 anni, tutti con ai piedi le stesse scarpe da basket che vanno di moda adesso, e con loro altri due, con il cavallo dei jeans a mezza coscia e delle vistose cinture, più o meno loro coetanei, ma più alti. Uno sembrava stesse abbracciando uno dei tre: a prima vista, non sembrava un gesto violento, ma non so perché mi ha comunque colpita».
È bastato osservare meglio, per capire che in atto era una vera e propria rapina. La donna non ha perso tempo. Abbassato il finestrino sul lato del marciapiede, ha chiesto, più che altro con il labiale e a gesti, se il ragazzino trattenuto dall’altro avesse bisogno. «”Sì” mi ha risposto lui, sgranando gli occhi: così, gli ho fatto cenno di salire a bordo e lui si è rifugiato in auto, accanto a me».
In realtà, l’altro l’aveva liberato solo perché gli aveva appena svuotato le tasche. Ora, sarebbe toccato ai due amici della prima vittima subire lo stesso trattamento: già stavano volando le prime minacce. Salendo in auto, il ragazzino in poche parole ha spiegato alla donna che cosa stesse accadendo. A questo punto, visto che lui era ormai al sicuro, lei è scesa.
«Mi sono messa a gridare a squarciagola per chiedere aiuto. Speravo che almeno qualcuno desse l’allarme. Intanto, sono corsa verso il gruppetto» racconta. Solo a quel punto i due giovanissimi i hanno lasciato perdere le loro vittime, fuggendo. La donna li ha rincorsi per un po’. «Ho più volte urlato di ridarmi i soldi di mio figlio. In parte bluffavo, in parte no: perché in quel momento era davvero come se io, che tra l’altro sono madre di due adolescenti, vedessi come figlio mio quel ragazzino che terrorizzato aveva trovato rifugio sulla mia auto».
Ma i due adolescenti hanno guadagnato in pochi secondi un vantaggio incolmabile. Messa la distanza che credevano opportuna tra loro e colei che stava guastando i loro piani, si sono voltati, per sfoderare una serie di gestacci al suo indirizzo. «Mi sono ritrovata a tu per tu con un concentrato di strafottenza e arroganza difficile da immaginare» sottolinea lei.
Poi, a passo svelto, i due sono scomparsi. Ripreso fiato, la donna ha telefonato al 113. «Solo allora, a quanto mi sarebbe poi risultato, è scattato l’allarme: nessuno aveva chiamato, nonostante la scena fosse chiara e nonostante le mie richieste. Né i tanti pedoni né chi era bloccato dietro la mia auto lasciata in mezzo alla strada si sono presi la briga di comporre un numero d’emergenza. Peccato, perché i poliziotti sono intervenuti subito, e con tre pattuglie. Se l’allarme fosse stato dato prima, quei due forse sarebbero stati acciuffati. Solo proteggendo tutti i ragazzi come se fossero nostri figli si può arginare questo genere di violenze. È l'ora che lo capiscano tutti».
Invece, raccolta una sommaria descrizione dei due fuggitivi, i poliziotti hanno perlustrato le vie del quartiere senza trovare traccia di chi stavano cercando. Sembra che i tre non avessero mai incontrato prima i coetanei rapinatori (anche se per uno, avendo il volto coperto da una maschera, non si può affermare con certezza). Non si può escludere che altri colpi siano già stati messi a segno dai due ai quali la polizia sta dando la caccia.
Roberto Longoni