Immigrazione e lavoro

Colf, badanti, baby sitter: il mondo dei servizi parla straniero

Giovanna Pavesi

In Italia, gli stranieri incidono più tra i lavoratori che tra la popolazione nel suo complesso. Spesso hanno scarsa mobilità occupazionale e sociale, svolgono impieghi precari, pericolosi, pesanti e sottopagati. Eppure, continuano a sostenere, in misura rilevante, l’economia nazionale, contribuendo al benessere collettivo. Si è parlato soprattutto di questo, ieri pomeriggio, al dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università, al convegno «Lavoro, impresa e welfare: il contributo degli immigrati in un’ottica di integrazione», organizzato con il Centro studi e ricerche Idos, Assindatcolf, Cgil e Cisl Emilia-Romagna.

Al centro dei lavori, introdotti dal direttore del dipartimento, Mario Menegatti, le caratteristiche strutturali dell’inserimento socio-occupazionale dei cittadini stranieri in Italia e a livello territoriale, il loro apporto all’economia e le prospettive per una migliore integrazione nel tessuto sociale, economico e produttivo del Paese, a beneficio dell’intera collettività.

«L’apporto dei migranti in Emilia-Romagna è considerevole, essendo questo uno di quei territori che rientrano nell’economia della piccola e media impresa. Qui, infatti, gli immigrati trovano molto più facilmente lavoro che in altre parti d’Italia – ha spiegato Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche Idos, presentando il dossier statistico Immigrazione -. Parma condivide, con tante altre città medio grandi, la preminenza dei servizi e, nel caso degli immigrati, soprattutto di quelli domiciliari, quindi ci sono tante badanti, colf, baby sitter. La provenienza si è molto estesa e abbiamo una rappresentanza molto ampia dell’Europa dell’Est, comunitaria e non, dell’Asia e dell’America Latina».

Come chiarito dallo studioso, il mondo del lavoro è «molto segmentato», perché «non solo abbiamo riservato agli stranieri gli impieghi di più bassa qualifica (6 su 10), ma li abbiamo etnicizzati, tipo: dimmi di che nazionalità sei e ti dirò che lavoro fai». Andrea Lasagni, docente di Economia applicata dell’ateneo, ha spiegato come, dal punto di vista delle specifiche attività di ricerca del Dipartimento, si tenda a concentrare maggiormente l’attenzione sulle imprese guidate da immigrati, quelle cioè che hanno come socio fondatore una persona che è nata in un altro Paese. «In questo momento, gli elementi di fragilità che spesso vediamo nelle ricerche di lavoro frammentario e irregolare diventano, invece, elementi di forza». Come specificato da Lasagni, in Emilia-Romagna gli approfondimenti fatti riguardano tre settori principali: la meccanica, la produzione di cibo e il tessile-abbigliamento.

Il convegno, a cui hanno partecipato, con approfondimenti specifici, Tania Sacchetti (responsabile immigrazione Cgil nazionale) e Antonio Amoroso (responsabile immigrazione Cisl Emilia-Romagna), si è concluso con una riflessione di Caterina Bonetti, assessore comunale ai Servizi educativi e transizione digitale.

«È fondamentale basarsi sui dati per studiare il fenomeno, perché spesso ci si affida al sentiment, mentre i numeri parlano chiaro – ha detto l'assessore soffermandosi anche sul tema della scuola -. Va fatta una riflessione importante sulla qualità della formazione in Italia, perché una qualità più alta porta poi a un impiego più qualificato dal punto di vista della crescita del Paese».

Giovanna Pavesi