Processo
Omicidio di Juana Cecilia, Genco condannato a 29 anni e tre mesi
DAL NOSTRO INVIATO
Roberto Longoni
Reggio Emilia Non l'ergastolo, ma 29 anni e 3 mesi. Le attenuanti sono entrate nel verdetto: la nascita nella culla sbagliata e la crescita tra le disgrazie hanno pesato sull'orrore del passato prossimo, su quanto commesso alle prime ore del 20 novembre, nel parco della Polveriera a Reggio. Qui Juana Cecilia Hazana venne strangolata e nel frattempo stuprata due volte: lasciata agonizzante, venne poi finita a coltellate dall'omicida tornato una quarantina di minuti dopo.
Che a compiere l'orrendo delitto sia stato Mirko Genco non c'è mai stato dubbio. Reo confesso già sulla gazzella dei carabinieri che l'avevano fermato in centro a Reggio poche ore dopo la scoperta del cadavere di Cecilia, il giovane parmigiano avrebbe confermato quanto detto in caserma al pm Maria Rita Pantani. In Corte d'assise, lui c'è sempre entrato da colpevole.
Il crimine è folle al punto da far gridare alla pazzia. Il dubbio era venuto, e ci si è affidati al professor Renato Ariatti per scioglierlo. «Genco soffre di un disturbo di personalità, fatica a rispettare le regole e non sopporta l'abbandono, la perdita e il rifiuto, ma questo non comporta per forza il vizio mentale». Questa la diagnosi con la quale lo psichiatra responsabile della perizia voluta dalla giuria presieduta dal giudice Cristina Beretti (giudice a latere Giovanni Ghini) apre l'ultima udienza del primo grado. Conclusioni a grandi linee condivise dai consulenti delle parti. Sbarrata la via maestra per evitare il carcere a vita al proprio assistito, l’avvocata Alessandra Bonini doveva per forza puntare sulle attenuanti. Strategia obbligata, contro la quale fin dalla prima udienza Maria Rita Pantani aveva concentrato il fuoco dell’accusa.
Sedici le menzogne contestate dal pm all'imputato. Tra queste quella del primo rapporto consensuale. «Cecilia vomitava, aveva bevuto troppo - sottolinea la rappresentante dell'accusa -. Lo mandava via: è stato lui a fare tutto». Una ricostruzione possibile grazie alle telecamere lungo l'ultima passeggiata della vittima, che credeva di rientrare a casa. L'audio, invece, è saltato fuori dallo smartphone dell'imputato: Genco aveva registrato tutto. Altra bugia, per Maria Rita Pantani, è che Genco amasse la propria vittima. «Così tanto da proporle di fare sesso a tre? O di prostituirsi?».
Anche il transfert che Genco avrebbe vissuto tra Cecilia e la propria madre non esiste per il pm. Responsabile dell'atroce femminicidio, il 26enne era stato al tempo stesso vittima trasversale di un femminicidio del 2015 a Parma. Alessia Della Pia massacrata di botte in via dei Bersaglieri, a 39 anni dal compagno era sua madre. Le aggravanti per Maria Pia Pantani ci sono tutte. Dal luogo appartato all'ora notturna, ai futili motivi, al legame sentimentale e alla recidiva. E nemmeno la confessione sarebbe stata piena: Genco avrebbe taciuto alcuni aspetti, mentendo su altri. La richiesta dell'accusa cala come un macigno: ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno. Si associano le parti civili: Federico De Belvis, difensore del piccolo Alessandro, così come Francesca Guazzi legale di Corrado Lolli, padre del piccolo, Francesca Ghirri che rappresenta il Comune di Reggio, Samuela Frigeri, avvocata dell'associazione «Non da sola» e Alessandro Silvestri per «Gens nova». E si associa Giovanna Fava, avvocata di Dina, la madre di Cecilia che ora cresce il bimbo: per lei chiede un risarcimento di un milione di euro. «Ale sa che la mamma non c'è più, e la notte sogna di giocare con lei - dice la donna mai più tornata in Perù, forte di una dignità e di un amore che commuovono - e a ogni uscita di casa manda baci al cielo, perché arrivino a lei».
Molto più breve l'arringa difensiva. L'avvocata Bonini si concentra soprattutto sull'infanzia priva di amore vissuta dal suo assistito. «La mamma non si preoccupava neppure di lavarlo, mentre i litigi in casa erano all'ordine del giorno - sottolinea il legale di Genco -. Non si può non tenere conto della vita che gli è toccata in sorte». Il difensore rievoca i giorni che portarono al delitto. «Cecilia bloccava e sbloccava il suo contatto, sentiva Genco anche mentre lui era ai domiciliari: sempre in quei giorni erano andati insieme in albergo. E intanto continuava a chiedere aiuto per fare macumbe contro il padre di Alessandro». Un rapporto malato finito in tragedia. Infine, per la prima volta l'imputato chiede scusa. «Mi dispiace - dice Genco -. La legge siete voi e fate quello ritenete giusto. A tutt'oggi non riesco a capacitarmi di quello che ho fatto».
Con queste parole nelle orecchie la giuria si ritira in camera di consiglio. Ne uscirà quasi quattro ore dopo. Genco è condannato a 28 anni e 3 mesi per tutti i reati contestati per quella notte, ma assolto dall'accusa di tentato omicidio (per strangolamento, prima delle coltellate) e di rapina (delle chiavi dalla borsetta). Le evasioni in ottobre gli costano un altro anno. Dovrà inoltre versare provvisionali (200mila euro ad Alessandro, 100mila alla nonna del piccolo), oltre a un risarcimento di 40mila euro a Lorenzo Lolli (fratellastro di Alessandro), di 20mila al Comune di Reggio e di settemila a «Non da sola». A suo carico le spese processuali. Lui, frastornato, lì per lì non capisce e chiede all'avvocato. Alessandra Bonini commenta: «Una pena accettabile per la gravità dei fatti». Giovanna Fava sottolinea: «Pena significativa». Dina ringrazia e aggiunge: «L'importante è che i 29 anni li trascorra davvero dentro. Cecilia ha avuto giustizia». Poi, corre a casa con le figlie Rosaria e Carmen. Il piccolo Alessandro da troppe ore attende la nonna-mamma.