Lutto

Brianti, l'ingegnere parmigiano del Cern che lavorò con il Nobel Rubbia

Michele Ceparano

Uno scienziato innamorato di Parma. Venerdì prossimo avrebbe compiuto 93 anni l'ingegnere parmigiano Giorgio Brianti, che si è spento giovedì a Ginevra, dove abitava dagli anni Cinquanta. Brianti è, infatti, stato una figura di primo piano del Cern, l'organizzazione europea per la ricerca nucleare che ha sede appunto nella città svizzera e nella sua lunga e prestigiosa carriera ha anche lavorato con il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia. Ha inoltre ricevuto la medaglia d'oro al premio Sant'Ilario.

Laureatosi in ingegneria a Bologna negli anni Cinquanta, le sue capacità non sfuggirono al fisico Edoardo Amaldi. La Seconda guerra mondiale non era finita da molto e l'Europa era impegnata nella ricostruzione. Ricostruzione che passava anche attraverso la scienza e il Cern di Ginevra fu un tassello fondamentale.

A lavorare nell'organizzazione vennero chiamate le migliori giovani menti di tutta Europa e, tra loro, c'era anche Brianti. Che, appena sposato con Maria Clotilde Canali, scomparsa qualche anno fa, lasciò Parma, dove abitava nella zona di barriera Repubblica, strada in cui la madre aveva una profumeria, per stabilirsi in Svizzera. E si può dire che lui fu uno di quelli che videro nascere il Cern, di cui fu tra i principali dirigenti, fino a diventare uno dei più importanti centri mondiali. Là l'ingegnere parmigiano progettò le macchine con cui i fisici realizzavano i loro esperimenti. Il suo nome è infatti legato Large Hadron Collider (LHC), l'acceleratore di particelle frutto dell'intuizione di Rubbia, ma anche sua.  Brianti, infatti, ideò i magneti che ne costituiscono il nucleo centrale. E proprio grazie all'acceleratore di particelle sono state realizzate scoperte fondamentali.  

Ma Brianti, nonostante gli impegni e la distanza, non si dimenticò mai di Parma. Fino a un po' di tempo fa tornava sempre nella sua città natale per far visita ai famigliari. Racconta il nipote Francesco Canali che a Natale «faceva un po' effetto vedere quello che era un importante scienziato seduto a tavola a mangiare un piatto di anolini». Un uomo che ha dato lustro all'Europa e all'Italia, oltre che a Parma. «Una città che lui, anche se ormai la sua vita era in Svizzera – riprende il nipote –, non aveva mai smesso di amare. Affezionato lettore della Gazzetta, sapeva più lui della nostra città di noi stessi». E dopo essere andato in pensione dopo quarant'anni al Cern, racconta ancora il nipote, «si divertiva a scrivere della sua città ricordando gli anni di quando era ragazzo». Un affetto ricambiato dal momento che al Sant'Ilario 1992 Brianti ricevette la medaglia d'oro come «figura di spicco in campo internazionale, per l’impegno e i risultati ottenuti nella ricerca scientifica, che lo hanno visto fra l’altro al fianco di Carlo Rubbia nella messa in opera del progetto che lo ha condotto al premio Nobel nel 1984». Brianti lavorò anche con altri grandi fisici, come l'inglese John Adams, e successivamente contribuì alla realizzazione, all'ospedale di Pavia, della prima macchina che, sfruttando la capacità di concentrare enormi quantità di energia, consente di «bombardare» le neoplasie.

Da buon ingegnere era appassionato della tecnologia, ma era anche un uomo con una profonda fede e, assieme alla moglie - da cui ebbe due figlie, Maria Chiara e Giovanna, entrambe insegnanti -, impegnato nel sociale e nella vita della parrocchia. Senza mai dimenticare la sua famiglia, tra la Svizzera e Parma, che venerdì prossimo a Ginevra gli darà l'ultimo saluto.

Michele Ceparano