Esperti sull'allarme siccità
«La diga di Vetto può salvare il nostro futuro»
Sullo schermo si alternano le foto di letti di fiumi completamente asciutti e inariditi, alle immagini dei disastri causati dalle alluvioni e delle esondazioni: evidenze «di quanto sia diventata un’urgenza la gestione adeguata delle acque», concordano i relatori intervenuti ieri pomeriggio in occasione dell’incontro «Il fabbisogno idrico delle province di Parma e Reggio», che si è tenuto al Seminario minore.
L’evento, organizzato dall’associazione di tutela del patrimonio ambientale e culturale «Italia Nostra», rappresentata per le province di Parma e Reggio da Aldina Bardiani e Maria Cristina Ficarelli, ha chiamato a dialogare climatologi, geologi, esperti, sindaci per fare il punto sul tema della siccità e della gestione delle risorse idriche nel nostro territorio.
«Passiamo dall’alluvione dell’Enza del 2017, all’ “annus horribilis” del 2022 con temperature molto alte, anche quelle dei mari che erano aumentate, la mancanza di acqua soprattutto nel periodo estivo. Un anno in cui i dati segnano ben 300 giorni senza alcuna precipitazione - afferma Massimiliano Fazzini, climatologo e geologo, docente universitario e consulente del Ministero -. Quindi alluvioni intense, a volte anche molto pericolose e addirittura mortali, sempre più si alternano a una forte siccità: non possiamo rimanere indifferenti davanti a questi dati, è necessario adattare, intervenire e pianificare».
Il cambiamento climatico evidenziato dall’esperto diventa «una vera e propria sfida epocale - sottolinea Sergio Bandieri, ingegnere idraulico -. Soprattutto per i nostri territori in cui la prospettiva della diga di Vetto diventa davvero importante. Partendo dalla nostra economia, in particolare la filiera alimentare, che si regge sull’acqua. Se, dunque, l’acqua non viene gestita in maniera adeguata, ci saranno forti ripercussioni».
Inoltre, la diga di Vetto, come spiegato dai relatori, sarebbe uno strumento utile non solo per la gestione delle risorse idriche, ma anche per la «tutela della biodiversità», del «comparto agricolo, agroalimentare e industriale» e un impulso a livello sociale e culturale (soprattutto per le zone di montagna).
Infatti, «nei territori di Parma e Reggio c’è una straordinaria biodiversità, si parla fino a 70 essenze diverse per metro quadro, che sono uniche, caratteristiche e davvero fondamentali, ad esempio, per la produzione del Parmigiano Reggiano - informa Luciano Catellani, agronomo titolare dell’azienda agricola Antica Corte delle vacche rosse di Cavriago -. La diga di Vetto, quindi, diventerebbe uno strumento importante per l’approvvigionamento idrico necessario per mantenere questi tesori naturali del territorio».
C’entra anche il mondo industriale: «Solo nel territorio tra Solignano e Rubbiano abbiamo tantissime industrie importanti a livello internazionale - fa notare Lorenzo Bonazzi, sindaco di Solignano, già presidente di Confagricoltura di Parma -. Il comparto industriale necessita di elevate quantità di acqua tutto l’anno, la diga consentirebbe un approvvigionamento continuo e di gestire le risorse idriche anche nell’ottica del riuso e del non spreco».
Per i paesi della montagna, poi, «la diga di Vetto segnerebbe positivamente il futuro di questi territori: dal punto di vista sociale e lavorativo per i tanti giovani che lavorano nelle cooperative, che potrebbero occuparsi della pulizia e della manutenzione delle aree. Per la realizzazione di un’area faunistica per curare animali feriti, per la viabilità - conclude Lino Franzini già sindaco di Palanzano, attuale presidente della municipalità di Ramiseto -. Ma anche per l’aumento del turismo, infatti attorno al lago si formerebbero ben cinque aree di balneazione. Insomma, la diga per i paesi di montagna sarebbe un grande impulso sociale, economico, culturale: una vera e propria garanzia di sviluppo».