Intervista

Caprarica a Parma: «L'incoronazione di Carlo e il futuro della Corona»

Mara Pedrabissi

Non è un mistero: gli inglesi sono pentiti della Brexit, «è stata un errore politico gigantesco, un vero e proprio harakiri che la Gran Bretagna sta pagando con una pesantissima situazione economica» osserva con tono sicuro Antonio Caprarica, il “principe” degli inviati, che al Regno Unito e alla sua monarchia ha dedicato più di un libro, il prossimo in uscita il 26 aprile. Caprarica venerdì alle 18 sarà a Parma, al Palazzo del Governatore, proprio nell'anniversario della nascita di Queen Elizabeth, ospite della rassegna «Caleidoscopio» voluta dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Parma (ingresso libero).

Viene in mente Woody Allen: «Dio è morto, Marx è morto. E neanch'io sto tanto bene». La monarchia inglese come sta?

«Direi che sta bene. Ha qualche segno dell'età ma chiunque abbia passato i 70 sa che è inevitabile. Non vedo alcun malanno in grado di minacciare una sopravvivenza, non dirò da qui a cent'anni, ma per i prossimi cinquanta. Carlo è saldo in sella; i sondaggi danno ancora un buon 60% di consenso popolare; vallo a trovare un leader democraticamente eletto che può contare su un tale consenso. E William ha dieci punti in più, addirittura. Insomma, le baruffe chiozzotte che punteggiano la vita di questa famiglia non sembrano avere scalfito granché il suo legame con il Paese. Ci vuole molto di più di Meghan Markle per soppiantarlo».

L'incoronazione del 6 maggio sarà evento planetario al pari dei funerali della regina o del matrimonio con Lady D?

«Sicuramente, anche perché in questo caso è la prima incoronazione, dopo 70 anni, di un sovrano inglese. Ci sono le successioni anche nelle altre monarchie ma delle altre non ci importa assolutamente niente mentre quella inglese è la rappresentante simbolica di una cultura nella quale noi viviamo immersi. Dall'inizio del Novecento, per l'impulso di Edoardo VII, la monarchia inglese, avendo perso qualsiasi potere politico, si è trasformata in una monarchia cerimoniale e quindi la “pompa” è un suo segno distintivo».

Anche con Carlo, dunque?

«Stiamo vivendo in tempi di crisi economica e Carlo sa che, nel momento in cui bisogna aiutare milioni di inglesi a pagare le bollette, una cerimonia esagerata potrebbe essere accolta male; tuttavia, anche una cerimonia troppo smagrita, sarebbe accolta male. Sarà più breve la processione reale, ci saranno meno soldati e meno lord; ci saranno invece almeno 1000 invitati dal volontariato, dal terzo settore».

Carlo una certa modernità l'ha sempre avuta, ad esempio nell'essere “green”. Tuttavia è spesso stato indicato come «il povero Carlo». La serie Netflix, vista in tutto il mondo, lo ha aiutato o svantaggiato?

«Ha tentato di affondarlo. È il ritratto probabilmente più aderente a com'era Carlo da bambino o da adolescente, introverso, insicuro. Ma il Carlo “irresoluto” si è trasformato in Carlo “il risoluto”».

«Carlo III, il destino della corona» è il suo nuovo libro, in uscita il 26 aprile...

«Mi guardo bene dal fare uno spoiler. Posso però assicurare che ho raccontato molti episodi intimi della vita di Carlo, molti anche che lo mettono in una luce non propriamente simpatica. Il libro non parte da una tesi preconcetta, non è né a favore né contro».

L'immagine dei due principini vestiti di nero, con i pugni serrati dietro il feretro della madre il 6 settembre 1997, resta nella memoria collettiva. Carlo ha sentito quella responsabilità?

«Certo. Però chiunque riconosce che Carlo ha lavorato ottimamente come genitore single con questi due ragazzi. Naturalmente bisogna sempre ricordare un dettaglio: questo genitore single era anche il futuro re d'Inghilterra e aveva una agenda quotidiana alla quale probabilmente le 24 ore non bastavano. E non basta essere un buon genitore perché i tuoi figli ti considerino tale. Venendo alla circostanza cui lei si riferisce, sì quella sfilata fu terribile: quei bambini furono sacrificati sull'altare della ragione di stato in un momento in cui si temeva che Carlo solo, dietro il feretro, scatenasse disordini, se non violenze, per le strade di Londra. Si ritenne che l'unica cosa in grado di proteggere il Principe di Galles dall'ira della folla fosse farlo accompagnare dai figli di Diana. Così andarono le cose».

Lasciamo l'Inghilterra. Lei è stato inviato in molti luoghi “caldi”. Come vede questo nostro momento storico?

«Ho 72 anni e ricordo pochissimi periodi che siano stati calmi e tranquilli, forse giusto il decennio degli anni '90 quando era finito il Comunismo, sembrava finita la guerra fredda e, con la globalizzazione, pareva che in nome del “Commercio” tutte le differenze tra gli uomini fossero sul punto di essere cancellate. Alle difficoltà, però ora si aggiunge un elemento di novità che pensavamo di avere archiviato cioè la possibilità concreta e spettrale della guerra. Questo sì è un fattore che proietta un'ombra sul futuro. Ma, in generale, le crisi sono una straordinaria opportunità, bisogna affrontarle senza paura. Un grande presidente americano come Roosevelt diceva che è l'unica cosa di cui si deve aver paura è la paura».

Mara Pedrabissi