Ricordo

Veronica Biancardi, poetessa-prodigio morta a 13 anni

Gabriele Balestrazzi

Un arcobaleno lungo 40 anni. Una storia apparentemente triste eppure carica di magia e di sorrisi: una vita strappata troppo presto eppure capace di sopravvivere a sé stessa.

Era il 23 aprile 1983 quando il male si portò via Veronica Biancardi a soli 13 anni. A Veronica era stato concesso appena il tempo di affacciarsi alla vita: già nel 1980, a soli 10 anni, era arrivata quella tremenda diagnosi di leucemia linfoblastica acuta. Poi l’altalena beffarda dei progressi, delle speranze e delle ricadute, con i lunghi capelli neri persi a causa delle cure; la “reclusione” imposta dalle terapie, ma anche i momenti di rinascita: la danza, il ritorno a scuola, i viaggi… e soprattutto le poesie.

È proprio come bambina-poetessa che sento parlare per la prima volta di Veronica nel marzo di quel 1983. Il direttore di Tv Parma, Aldo Curti, mi spiega che c’è da andare a Baganzola nella scuola media, a intervistare una ragazzina che scrive poesie e che è seriamente malata. Mi porge un articolo firmato addirittura da Alberto Bevilacqua, che di alcuni versi della giovanissima poetessa dice che «sarebbero piaciuti a Palazzeschi». Parto per Baganzola, lo confesso, un po’ di malavoglia, per la paura di non saper trovare le parole giuste per chi vive una situazione così difficile e anche con la sensazione di dover raccontare – come presumo che abbia fatto Bevilacqua – qualche bugia pietosa su poesie che mi immagino inevitabilmente acerbe e infantili…

Il sorriso limpido di Veronica, le parole, la spontaneità e la grazia con cui si sottopone all’intervista televisiva soffiano via ogni diffidenza. I colori dei suoi vestiti, con quel basco fucsia che sembra davvero il vezzo di una poetessa e non solo il modo per nascondere gli effetti delle periodiche e invasive cure, si aggiungono ai colori del primo libro che raccoglie i suoi versi, con pagine piene di sole, di natura e di arcobaleni.

Si respira in quella classe una piccola magia, condivisa dai compagni: «I versi di Veronica mi piacciono per la loro delicatezza», dice al microfono una amica. E l’insegnante Rossana Dalla Bella aggiunge: «Nelle poesie di Veronica c’è una grande freschezza a cui si aggiunge, sorprendentemente per una tredicenne, una ricerca dell’assoluto».

È vero. Quel libro di parole e di colori (le illustrazioni di Fabrizia Monticelli e Angela Bornia) già a una prima rapida lettura durante il ritorno in redazione mi ipnotizza e mi conquista. Ci sono, sì, anche passaggi inevitabilmente acerbi perché alcuni versi Veronica li scrisse a soli 10 anni, ma poi spuntano parole e riflessioni di rara profondità. E c’è anche, già in questo suo primo libro, una pagina che incanta e raggela insieme, sullo sfondo di un disegno di struggente tramonto: «Quando ci si saluta / o si dice anche un addio / bisogna essere sempre felici e sorridenti / perché tutto andrà sempre / nel migliore dei modi».

Tolgono il respiro, ancora oggi dopo 40 anni, perché quei versi dicono chiaramente che Veronica sentiva e sapeva - anche negli intervalli sereni concessi dalla malattia - che si stava avvicinando a un prematuro e ineludibile addio: ai compagni di scuola e di giochi, alla natura amatissima e ai suoi adorati genitori. Quelle parole di tredicenne sono tuttora una straordinaria lezione di maturità davanti al più grande dei misteri con cui dobbiamo tutti fare i conti. «Bisogna essere sempre felici e sorridenti»… E poi con altri brevi versi aggiungeva: «e se…un fine / ha la forza / di concludere la mia poesia / ci sarà un inizio / a dar il coraggio / di ricominciare».

Ma se già stupisce questa profonda saggezza nell’adolescenza della sua ultima Pasqua («di Resurrezione», aggiunse significativamente in coda alla poesia), non di meno colpiscono e commuovono altri contemporanei versi che, pur nella consapevolezza di una sorte segnata, regalano ancor più sorprendenti e fresche lezioni di ottimismo e di vita. «Quando cerchi / un futuro migliore / non aspettarti che te lo trovino / gli altri. / Ma comincia tu / il mattino seguente / a sorridere alla tua giornata, / al tuo futuro». Quelle parole e la pagina che le ospita con il disegno di un'allegra e iridata finestra che si affaccia su uno splendido sole hanno accompagnato, da quella intervista a Baganzola, ogni giornata di lavoro sulla mia scrivania, e tuttora sono una quotidiana ed efficacissima lezione mattutina di emozione ed ottimismo insieme.

Nel frattempo, altri ben più prestigiosi personaggi si sono interessati nel tempo a Veronica e alle sue poesie, con parole e attestati non formali: Enzo Biagi, Aligi Sassu, Lorin Maazel, una raccolta di poesie della Mondadori e perfino una rivista per giovani – Pioner - distribuita nei Paesi dell’ex Unione sovietica. A lei fu dedicato il primo centro Giovani di Parma e nel 2011, in un bel sabato di aprile come quelli che lei amava, a Veronica Biancardi è stata anche intitolata una strada, davanti alla chiesa di Vicomero.

Poco tempo fa sono tornato dai genitori, i dolcissimi Lucia ed Ettore. Non vi dirò che in quella casa tutto parla ancora di Veronica, perché in realtà Veronica è davvero ancora lì, come sempre. Si è solo trasformata in un dolce e meraviglioso arcobaleno.

Gabriele Balestrazzi