Curiosità

Dal Po in secca emerge la storia

Paolo Panni

Polesine Gli spiaggioni dell’una e dell’altra riva del Grande fiume, emblemi del lungo periodo di storica magra che il Po sta attraversando, sono un libro di storia aperto per tutti coloro che il passato lo vogliono conoscere non soltanto sui libri, ma anche direttamente sul posto.

Un giacimento di memorie ed un museo a cielo aperto che, talvolta, regala nuovi pezzi ai musei, quelli veri, che si trovano sulle due rive del fiume. Ci sono i resti di grandi foreste che, in tempi remoti, sorgevano dove oggi, appunto, scorre il fiume; i reperti fossili di specie animali (oggi estinte) ben custoditi e valorizzati nel Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po (ma anche in altri musei del territorio) e le tracce di antichi edifici ed abitati ormai scomparsi.

Quando si percorre, a piedi, uno spiaggione del Po, è normale incontrare resti di coppi, mattoni, vasellame ed altro. In apparenza solo poche e povere macerie. In realtà, anche il più piccolo di quei pezzi è una traccia del nostro passato: e già solo per questo è prezioso e va osservato con rispetto.

Nell’area compresa tra Polesine Parmense e Stagno Lombardo, specie sulla riva lombarda, è possibile osservare numerosi resti dell’antica Polesine di San Vito, di cui si parla diffusamente anche nella collana dal titolo «Nelle terre dei Pallavicino» curata dal compianto professor Carlo Soliani insieme agli storici Umberto Primo Censi e Gianandrea Allegri, tutti di Zibello.

La storia informa che la prima chiesa parrocchiale di Polesine di San Vito venne demolita nel 1400 perché gravemente danneggiata dal Po. La successiva, costruita intorno al 1400 in sostituzione della precedente, fu a sua volta distrutta dal fiume nel 1720. E’ tra l’altro certo che il Marchesato di Polesine e Santa Franca ebbe un castello, come informa anche Guglielmo Capacchi nel suo libro «Castelli Parmigiani». Questo era posto a difesa di quell’importante porto fluviale che si apriva a nord ovest del Palazzo delle Due Torri (l’odierna Antica Corte Pallavicina).

Fonti storiche alla mano, un duplice ordine di fortificazioni esisteva in Polesine poiché il trattato di pace e di alleanza tra il Duca di Milano Filippo Maria e il Marchese Orlando Pallavicino del 5 gennaio 1431 parla espressamente di «castrum et rocha Polesini» lasciando intendere che l’abitato intorno al porto era cinto di mura e difeso da una piazzaforte.

Polesine di San Vito, nel corso dei secoli, di fatto fu due volte spazzato via dalle acque del Po e poi ricostruito. L’attuale paese è, in pratica, il terzo ed è stato realizzato a maggiore distanza dal fiume, in un luogo più sicuro. Il tutto grazie all’iniziativa del marchese Vito Modesto Pallavicino, ultimo signore di Polesine (nato a Polesine il 30 marzo 1698 e morto a Parma il 14 luglio 1731), sepolto sotto il presbiterio della chiesa parrocchiale.

Agli inizi del XVI secolo il fiume spostò il suo letto più a sud, fino a lambire le fondamenta della rocca, che nel 1547 crollò e la stessa sorte toccò pochi anni dopo anche alla chiesa costruita da Giovan Manfredo nei pressi del maniero.

Successivamente il fiume riprese il suo corso e il borgo di Polesine rifiorì, con la costruzione di abitazioni e di due palazzi marchionali. La situazione precipitò ancora agli inizi del XVIII secolo, quando il Po deviò nuovamente verso sud e, straripando, distrusse nel 1720 la cinquecentesca chiesa di San Vito e, alcuni anni dopo, il palazzo delle Fosse, residenza di Vito Modesto Pallavicino. Quest’ultimo finanziò i lavori di costruzione di una nuova chiesa (l’attuale). Vito Modesto morì nel 1731, nominando erede universale il «ventre pregnante» della moglie, che tuttavia partorì una femmina, Dorotea e, quindi, il feudo fu assorbito dalla Camera ducale di Parma, che lo assegnò, unitamente a Borgo San Donnino, alla duchessa Enrichetta d’Este, vedova del duca di Parma e Piacenza Antonio Farnese.

Il legame tra Polesine e il fiume è sempre stato molto profondo, lo si intuisce fin dal nome stesso del paese, che potrebbe derivare dal latino «Laesus a Pado», vale a dire «distrutto dal Po». Scritta, questa, che era stata inserita anche nello stemma dell’ex comune di Polesine Parmense.

In merito alle mura, va ricordato che, negli anni Ottanta del Novecento, un palombaro fu inviato a far esplodere, in acqua, i resti degli antichi edifici che ostruivano il passaggio delle bettoline. Parte di questi resti si trovano tuttora dietro il vecchio municipio di Polesine; altri compongono invece la massicciata che delimita il corso del Po in territorio di Stagno Lombardo e sono ben visibili specie nei periodi di magra, come quello attuale.

Di recente sono emerse anche ulteriori mura. Ma non c’era solo Polesine di San Vito; un tempo, come ricorda anche Dario Soresina nella sua Enciclopedia Diocesana Fidentina, esisteva pure Polesine de' Manfredi, situata nei pressi di Stagno Parmense, con chiesa dedicata a San Martino. Il borgo sorgeva nei pressi del grande e leggendario bosco detto «del Vajro» (in larga parte spazzato via dalle piene del Po) e di altri due luoghi di cui non resta che la memoria storica: Tolarolo e Rezinoldo (o Rezzenoldo o Arzenoldo). Tolarolo sorgeva tra Roccabianca e Stagno e tuttora, a poche centinaia di metri dal centro di Roccabianca, esiste un’arteria comunale denominata Tolarolo e si trovano pochi, poveri resti di un antico cimitero. Tolarolo era provvisto anche di un castello e di una chiesa dedicata a San Michele mentre la vicina fortezza di Rezinoldo (o Rezzenoldo o Arzenoldo), è stata di fatto «inglobata» nell’odierna Roccabianca ed aveva una chiesa dedicata a San Bartolomeo.

Altre località parmensi di cui non resta traccia alcuna, da secoli «divorate» dal Po sono Vacomare (che sorgeva nei pressi di Polesine Parmense ed aveva una chiesa con Xenodochio dedicata a Santa Maria di Spineta), Isola dei Bozardi (nei pressi di Zibello, con chiesa dedicata a San Domenico), Gambina, Carpaneta (che sorgeva nei pressi di Ragazzola), Caprariola (situata invece a sud di Pieveottoville, nella zona che conduce a Samboseto), Tecledo e Brivisula.

Passando quindi al territorio cremonese, e in particolare all’area casalasca. i luoghi spazzati via, nel tempo, dall’azione del Po sono Barcello, Cella (nei pressi di Colorno), Casale de' Ravanesi, Casale de' Bellotti, Scurdo e Gurgo. Per quanto riguarda il vicino Piacentino, non resta alcuna traccia di Castelletto, Rottino, Olzula Vetula, Mortesino, Tinazzo e Marianne. Le potremmo definire le «Atlantidi del Po». In ogni caso, al di là delle definizioni più o meno fantasiose, tracce preziose di un passato che va tramandato e conosciuto.

Paolo Panni