Biografia
Marina Cicogna: le pellicole, gli amici, gli amori. Una vita da film
Suo nonno ha inventato la Mostra del cinema di Venezia, Marilyn Monroe le chiedeva cosa mangiassero gli italiani (stava per sposare Di Maggio...), Alain Delon, «ragazzo irresistibile», invece, le «fece perdere il controllo». È grande amica di Mick Jagger (anche se in gioventù sgattaiolò nella camera d'albergo dei Beatles), ha trascorso vacanze sullo yacht di Onassis con Churchill e la Garbo («semplice e molto spiritosa») e David O. Selznick, il leggendario produttore di «Via col vento», voleva adottarla...
Vado avanti? No, perché si potrebbe stare qui per ore, ma ore davvero, a raccontare episodi, incontri, scelte rivoluzionarie di questa donna eccezionale, classe '34, che ha attraversato la Storia come se fosse un film, senza bisogno di doppiatori né tanto meno di sottotitoli. Una vita straordinaria quella di Marina Cicogna, e straordinario anche il libro che la racconta, «Ancora spero» (per Gli Specchi di Marsilio), che, pagina dopo pagina, restituisce l'unicità e l'esistenza libera, anticonformista e senza moralismi, della «contessa di Cinecittà», la prima produttrice cinematografica in Europa, icona di stile e mito del jet set, abbastanza folle da vincere un Oscar (per «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto») e non andare a ritirarlo perché pensava di perdere («avrei voluto picchiarmi da sola...»), ma anche da scommettere sui film di Pasolini che nessuno voleva fare oppure da litigare con la famiglia pur di portare sullo schermo «Anonimo veneziano», poi successo da 8 milioni di spettatori.
Una che ha paura di volare e ha viaggiato in tutto il mondo (anche accanto a Fellini, che più spaventato di lei dell'aereo, buttò lì, non si sa mai, un mezzo segno della croce), diviso una stanza con Jeanne Moreau («donna dalle capacità di seduzione immensa», ma lasciata sul lastrico da Friedkin, il regista de «L'esorcista»), amato appassionatamente una brasiliana dal «viso universale», Florinda Bolkan, per vent'anni: e che in questo «romanzo di una vita», libro-confessione scritto con Sara D'Ascenzo, giornalista e critica cinematografica di gran talento che di questa signora intima di divi, maharaja e capitani di industria ha restituito, con empatia, la più intima verità, conta anche le cicatrici, i lutti, le fratture, i più dolorosi distacchi.
E' un ritratto, ma sono mille: perché la geniale e avventurosa produttrice - che il 10 riceverà il David alla carriera - parlando di sé finisce per rievocare particolari inediti di un cielo stellato che ha toccato con un dito: la Mangano che emanava «fascino e mistero» anche quando ricamava in auto, Monty Clift che viveva in un appartamento senza mobili con il pavimento ricoperto di libri ammucchiati uno sull'altro, Visconti, che invitava l'autista a pranzo e al funerale di Togliatti andò senza cravatmnta. E poi anche tanta Parma, non senza rimpianti: come la volta che Bernardo Bertolucci si presentò da lei per girare «II conformista», «una storia alla quale tenevo moltissimo»: ma i vertici della società di produzione di famiglia dissero no. Marina ci rimase male: «Quel film, ne ero convinta, si sarebbe rivelato un capolavoro. Bertolucci allora incarnava alla perfezione il tipo di cinema al quale avevo tentato di avvicinarmi per tutta la mia carrier». Produce invece «Incontro» del colornese Piero Schivazappa (con la Melato e la Bolkan) e collabora con un altro parmigiano, Giovanni Bertolucci, cugino di Bernardo: fu lui a «rapire» letteralmente Tony Musante da un set di Corbucci in Spagna per portarlo su quello di «Metti una sera a cena», «il mio vero esordio».
Il resto è storia, anzi leggenda: la ragazza che ha avuto la Yourcenar come insegnante, la stessa che marinava la scuola per spiare Robert Taylor e Deborah Kerr a Cinecittà, è anche quella che, anni dopo, ebbe l'intuizione di acquistare «Bella di giorno» per sentirsi poi rispondere «ma chi è questo Buñuel?». Spesso incompresa dalla sua stessa famiglia, segnata dal suicidio del fratello 38enne, sottovalutata dai colleghi perché donna in un mondo allora esclusivamente maschile, Cicogna è stata una produttrice dal talento multiforme (l'amore per la fotografia, ad esempio) e visionario e dal fiuto (da «Fratello sole, sorella luna» a «Il medico della mutua»...) con pochi uguali.
Una grande signora dalla vita irripetibile, molto ricercata e altrettanto desiderata: Gianni Agnelli (che la voleva clonare) una sera cercò di infilarsi (invano...) nel suo letto, Farley Granger la frequentò a Venezia dove stava girando «Senso» e nemmeno Warren Beatty («abbiamo avuto una storiella») restò immune al suo fascino. Ma il folle amore della sua vita - confessa - è stato un altro: «Il cinema».
Filiberto Molossi