Tutta Parma

Quando in Borgo Felino c'erano le Carmelitane

Lorenzo Sartorio

Anticamente era Borgo dei Mulini. «Prese il nome - come attesta il Sitti - dal Mulino detto di Sant’Uldarico che riceveva acqua dal Canale Maggiore che entra in città da Porta Farini unitamente al Canale Comune. Arrivati presso ll’Orto Botanico si dividono restando, il Maggiore, a destra e, l’altro, a sinistra». Poi cambiò nome in Borgo Felino, ma i gatti proprio non c’entrano nulla. Sempre secondo il Sitti «il borgo risale ad epoca remota trovandosi in un atto notarile del 1416 in cui è chiamato Borgo Filino. Parrebbe anche da una famiglia derivasse il nome di questo borgo, poiché troviamo ricordato fra gli atti comunicativi, sin dal 27 febbraio 1465, un certo Bartolomeo Felino, maestro muratore».

L’antico borgo parmigiano, in tempi più recenti, ospitò pure le sedi di due importanti complessi : un monastero delle Carmelitane Scalze ed una caserma. La presenza delle Carmelitane Scalze a Parma risale al 1635. La duchessa Margherita Farnese Aldobrandina, sollecitata anche da tre giovani che desideravano abbracciare la vita monastica, si adoperò perché, dopo la fondazione dell’ordine maschile carmelitano, anche le monache avessero una presenza comunitaria nel ducato. Presi i debiti accordi, furono inviate a Parma dal monastero di Cremona due religiose di grande valore: madre Antonia di Sant’Alberto e madre Gerolama di Santa Maria ed il giorno 11 marzo 1635 fondarono il Carmelo di Parma presso la Chiesa di Sant’Antonio da Padova in «Cò di Ponte», un tempo chiesa e convento dell’ordine dei Frati Minori Conventuali Riformati e poi dei monaci Teatini.

Le prime suore che diedero vita alla comunità monastica furono: la principessa Caterina Farnese (suor Teresa Margherita dell’Incarnazione), sorella di Ranuccio II Farnese e la prima novizia in Parma e Prudenzia Vaghi, che donò il suo patrimonio per l’acquisto del monastero sull’odierna via Farnese, ma con ingresso in via Rodolfo Tanzi.

Il questo monastero, intitolato a Santa Teresa, affluirono numerose religiose e la comunità registrò una crescita notevole. Nel 1810 anche le monache di Santa Teresa furono soggette ai decreti napoleonici di soppressione. La comunità, pur dovendo abbandonare il monastero, riuscì a non disperdersi, anche grazie alla generosa ospitalità offerta dalle Benedettine del Monastero di Sant’Alessandro la cui chiesa è ubicata nell’attuale via Garibaldi. Nel 1815, grazie all’interessamento ed al Decreto di Maria Luigia, le Carmelitane, poterono rientrare nel loro monastero restaurato per munificenza del Marchese Carlo Emanuele Magenta.

Ma qualche decennio dopo (1866) giunse un nuovo decreto di soppressione ma, questa volta, da parte del governo italiano. La priora, però, chiese ed ottenne che la comunità potesse continuare a vivere nell’edificio che, naturalmente, era concesso in uso, essendo stata ordinata l’espropriazione.

Una trentina d’anni dopo, tuttavia, il Comune di Parma ritirò il permesso e, nel 1898, le religiose furono costrette ad abbandonare il Carmelo di Santa Teresa in via Dei Farnese ma, con la vendita di oggetti preziosi, acquistarono un vecchio fabbricato in Borgo Felino già Convento delle suore Teatine con l’annessa Cappella dell’Immacolata che era stata ridotta ad una carbonaia.

Le carmelitane vi apportarono gli opportuni restauri trasformando il fatiscente fabbricato nel proprio dignitoso monastero di clausura che dedicarono all’Immacolata. Nel 1929, alla cappella del monastero, venne donata dall’Ordine maschile dei Carmelitani Scalzi, l’immagine di Santa Maria Bianca e collocata sopra un magnifico altare in marmo progettato dall’ingegnere Camillo Uccelli.

L’altare venne consacrato il 9 settembre 1930 dall’arcivescovo-vescovo di Parma Guido Maria Conforti.

La chiesetta che si affacciava su Borgo Felino e si ergeva sopra una pianta rettangolare era dipinta seguendo le linee architettoniche.

Ai lati delle due cappelle, gli altari erano in legno. Sopra l’altare maggiore un dipinto del Malosso e, nel mezzo della volta, una medaglia del Bolla. La cappella venne restaurata e dipinta da frate carmelitano Luigi Usanza.

Durante il secondo conflitto bellico, il monastero, l’ 11 giugno 1945, subì notevoli lesioni per lo scoppio di una polveriera che sorgeva in Cittadella e per il precedente bombardamento, il 25 aprile 1944, della Caserma «Santa Fiora», già monastero delle monache Benedettine, che si trovava a qualche decina di metri dal convento. Per questo motivo le monache decisero di sfollare a Basilicanova, aiutate in tutto e per tutto da Dino e Francesco Mutti. Purtroppo, nonostante i contributi economici che offrì la famiglia Mutti, a metà degli anni ‘50, il monastero presentava delle criticità strutturali importanti tanto da indurre i tecnici a dichiarare che era più conveniente la demolizione dell’immobile e la costruzione di uno nuovo. Nell’attesa della nuova «casa» le monache carmelitane furono ospitate nella parrocchia di Mamiano di Traversetolo, dalla famiglia Magnani, nella villa dei Conti Zileri. Con il ricavato della vendita dell’area in cui sorgeva il monastero di Borgo Felino e con le offerte di tanti benefattori, il 3 aprile 1956, venne posta la prima pietra del monastero e della chiesa di Via Montebello dedicata a Santa Maria Bianca.

Il 16 maggio 1957 veniva inaugurato il monastero con la benedizione dell’arcivescovo di Parma monsingor Evasio Colli. Ed, allora, in un elegiaco galleggiare a mezzaria, riaffiorano i ricordi di un bimbo di allora che risiedeva appunto nell’antico borgo parmigiano. «Fino a metà degli anni ’50 - rammenta Luigi Vignoli - in Borgo Felino, sorgeva la Cappella di Santa Maria Bianca con annesso il Monastero di clausura delle Suore Carmelitane Scalze. Il convento si estendeva per tutto vicolo dei Mulini terminando con una cappellina dedicata alla Madonna Immacolata che si trovava all’inizio di via Linati. In quegli anni la Comunità Monastica era composta da 19 suore provenienti da diverse parti d’Italia guidata da suor Giacinta Ferrari di Montefeltro (Modena). In uno stabile annesso al monastero vivevano alcune famiglie: Paride Orsi, custode fac-totum del monastero, il sarto Giovanni Tarasconi, il maresciallo dei reali carabinieri Angelo Conti, una persona austera che testimoniò, anche in congedo, i valori dell’Arma, Enza Pini, storica insegnante del Romagnosi, don Angelo Capra, cappellano del monastero, la portinaia Onesta Monica che tutto sapeva e conosceva, la signorina Amelia Strozzi, sempre presente nelle opere di beneficenza e caritative, la signora Elvira Bertoli vedova di un Caduto della prima guerra mondiale e poi la famiglia Guidorossi composta dalle due sorelle Ermina ed Elvira, dalla loro madre Filomena e dalla nipote Giuseppina, che qui si erano trasferite dopo aver ceduto, nell’aprile 1942, lo storico e famosissimo Bar Cura Lattea in via Mameli. L’appartamento abitato dalla famiglia Guidorossi aveva il muro che confinava con la chiesa delle monache. Infatti, alla mattina prestissimo, dalla cucina della famiglia Guidorossi, si poteva sentire la recita del rosario che la comunità monastica era solita recitare ad ore antelucane. E allora, con la corona del rosario in mano, si univano alle preghiere anche le sorelle Guidorossi e la loro madre. Quando l’otto settembre 1943 il Governo Italiano proclamò l’armistizio, i soldati che risiedevano nella caserma Santa Fiora, a poche decine di metri dal convento, per non essere vittime dei rastrellamenti tedeschi, si rifugiarono nelle case vicine venendo ospitati nei solai e nelle cantine delle case di borgo Felino e nei locali dello stesso Monastero. Dopo alcuni giorni di permanenza, tolta l’uniforme e indossati gli abiti civili messi a disposizione dalle famiglie che li avevano ospitati, a piccoli gruppi, i militari, tentarono il ritorno alle loro case. Purtroppo, diversi vennero intercettati dalle pattuglie tedesche ed inviati nei campi di concentramento in Germania. Fra gli abitanti del borgo, soprattutto nel periodo bellico, l’aiuto reciproco era una costante che tutti conoscevano. La solidarietà si toccava con mano e si faceva straordinaria quando le sirene avvertivano che si sarebbe abbattuto un bombardamento. E, allora, si faceva in modo che tutti raggiungessero il vicino Orto Botanico per cercare un rifugio».

Ancora oggi le suore Carmelitane, nel loro monastero di via Montebello, continuano la loro vita di silenziosa preghiera.