COMPLEANNO SPECIALE

I 10 anni di «Io parlo parmigiano»

Sandro Piovani

Il primo doppiaggio fu «A m’ bàla ‘n òc», il più gettonato dal pubblico «al pit». Tra l’uno e l’altro ecco la voglia di mettere in primo piano il dialetto parmigiano in particolare e in generale quella «parmigianità» che il vernacolo stesso rappresenta. Nei modi di dire, nei modi di fare. Nel cibo e nella quotidianità. «A ghe mel» vien da dire. E sono passati dieci anni di Io parlo Parmigiano, tutti da ricordare e da incorniciare. E da festeggiare con un nuovo show. Per una storia meravigliosa, iniziata appunto dieci anni fa. Mirko Leraghi e Luca Conti avviarono il progetto con una pagina Facebook mentre Danilo «Baroz» Barozzi e Riccardo «Rico» Montanini sono entrati nel gruppo poco dopo con la parte dei doppiaggi. Anche se, va detto, forse la vera svolta è arrivata grazie al supporto e all’incoraggiamento del «professor Maletti», come lo chiamano loro. Tutti insieme per tre anni (o giù di lì) poi il progetto è stato portato avanti dal Baroz e da Rico. Dieci anni in tutto e non si fermano: il 16 giugno infatti, all’Astra (all’aperto col bel tempo, al chiuso se il meteo non lo consentirà) debutteranno con il nuovo show «Che stòrja» e, come da tradizione, l’intero ricavato della prima andrà devoluto in beneficenza, in questo caso alla Snupionlus che si occupa di nuove patologie a livello intestinale, in età pediatrica e adulta (la prevendita è già aperta presso la Libreria Mondadori dell’Eurotorri e alla biglietteria del cinema Astra).

E allora con Baroz e Rico facciamo un passo indietro, partendo dal primo show. Che non era programmato, ma come spesso accade in questi casi il fato ci ha messo del suo e da lì è iniziata la storia di «Io parlo Parmigiano». «Eravamo al circolo ARCI Solari. Era previsto uno show di Giampaolo Cantoni con alcune poesie di Enrico (il professor Maletti). Non dovevamo fare lo spettacolo, avevamo organizzato la serata. Anche perché di doppiaggi ne avevamo fatti solo quattro o cinque. E allora abbiamo pensato di doppiarli poi dal vivo. La prima esibizione assolutamente improvvisata». Da lì l’illuminazione, la voglia di parlare parmigiano divertendosi. E il primo vero show, con tanto di scaletta, copione e sempre con Giampaolo Cantoni ed Enrico Maletti. Stavolta il palcoscenico è quello del Fuori Orario di Taneto di Gattatico. «Uno spettacolo come si deve, con tanto di sketch, doppiaggi e così via»: confermano Baroz e Rico. E intanto Io parlo Parmigiano impazzava sui social. E come sempre i leoni da tastiera non mancavano. L’accusa era quella di parlare un dialetto «arioso» (Baroz è di Colorno e Rico di Collecchio), di non saperlo scrivere. E qui è diventato importante proprio Enrico Maletti che, da grande sostenitore del vernacolo, non voleva che questa esperienza si chiudesse. «Però, ci disse, fatela bene. Studiando il dialetto parmigiano, studiando come si scrive correttamente. Ci ha preso sotto la sua ala protettrice e ci ha suggerito delle cose, ci ha dato i consigli giusti». In ogni caso ormai il sacro fuoco del dialetto era stato acceso. L’idea era quella di avvicinare i giovani, con show e non solo. Del resto Io parlo Parmigiano ha puntato sempre sui social. E alla fine, tra Facebook, Instagram e gli altri canali social, i follower sono più di 150mila. Mica bruscolini. E va sottolineato come i ragazzi di Io parlo Parmigiano, consapevoli di questo successo, abbiano aderito a numerose iniziative solidali, direttamente o indirettamente. «Per indole personale siamo sempre stati coinvolti in queste cose. E poi abbiamo capito come potevamo essere considerati anche un punto di riferimento in queste cose. E dare spazio a certe iniziative è un modo per ridare alla città qualcosa. E la cosa bella è che i parmigiani aderiscono volentieri».

Si apre il cassetto dei ricordi. «La prima operazione è stata per Avalon, il calendario. Poi tutte le altre. E tradizionalmente ogni incasso della prima di ogni spettacolo va in solidarietà». Ci sarebbe da scrivere un piccolo libretto per ricordare tutte le iniziative dei ragazzi di Io Parlo Parmigiano, dalle cover per cellulari ai portachiavi a forma di anolino per arrivare ai giochi di società (Nador e Scantanador) o ancora le magliette griffate o le collaborazioni con la Gazzetta di Parma. Poi le canzoni di Natale, il tormentone estivo. «Perché - spiegano - la verità è che in dialetto si può fare tutto. Anche di più. Questa è la sintesi. E che è anche il modo per tenerlo vivo». La chiave del successo di questi ragazzi è che sono a contatto con tutti, dalle scuole sino agli anziani. «La cosa bella è che tutto è nato così, naturalmente». Dal primo video «fatto in casa c’me la fojeda» agli attuali sono migliorate anche la tecnologia, la tecnica. E quindi la qualità è aumentata. Ma soprattutto le idee. Tante, sempre nuove. «Anche se siamo sempre i solit du cojon». Dieci anni portati bene. E ora, per dirla alla parmigiana, si va su per gli altri dieci. «Che stòrja».

Sandro Piovani