Il caso
Assolto in appello dopo 10 mesi di carcere. «Ora devo rinascere»
Il cellulare nemmeno si accendeva: ovvio, per dieci mesi era rimasto in un cartone in via Burla, con gli effetti personali indosso a Youssou al momento dell’arresto. Scarico il telefono e «scarico» lui dei 15 chili persi in carcere sotto il peso di una condanna in primo grado a due anni, otto mesi e dieci giorni per maltrattamenti in famiglia. Reato mai commesso: l’ha riconosciuto per prima la titolare dell’accusa, durante il processo d’appello a Bologna.
È stata la stessa procuratrice a chiedere e ottenere l’assoluzione («perché il fatto non sussiste») di Youssou che si era sempre dichiarato innocente, preferendo nell’ottobre scorso affrontare il rito abbreviato e il rischio del carcere, piuttosto che imboccare la scorciatoia del patteggiamento. Di cella, il 39enne operaio italiano di origini senegalesi è uscito a testa alta, per salire sul bus e recarsi a casa del fratello (non era il caso di tornare alla propria). «Un tragitto breve - racconta - ma che valeva una rinascita. Oltre i cancelli di via Burla anche la luce ha già un altro sapore».
Youssou è l’uomo che lo scorso anno sfondò a calci la porta dell’appartamento nel quale si trovava la moglie. Ha ammesso subito l'errore (si è scusato e ha assicurato di voler riparare), negando però di averlo commesso per aggredire la donna dalla quale si stava separando. Lei in quei giorni si era trasferita dalla sorella, portando con sé i vestiti dei figli. E Youssou aveva bisogno di cambiare i due ragazzi reduci dall’allenamento: di fronte alla porta tenuta ostinatamente chiusa, perse le staffe. «Ma senza alzare un dito contro mia moglie» sottolinea.
Era il febbraio 2022: scattarono denuncia e divieto di avvicinamento alla consorte e ai figli. Lei raccontò un decennio di sopraffazioni: in pratica dal momento del sì (i due si erano sposati nel 2012, dopo 9 anni di fidanzamento-convivenza). Lui, invece, farebbe coincidere con il lockdown l’inizio dei problemi. Liti che - stando alla stessa procuratrice della Corte d’appello - avrebbero infranto il «codice matrimoniale», ma non quello penale. A carico di Youssou, Bologna, stralciando anche i 10mila euro di provvisionale stabiliti dal giudizio di primo grado, ha confermato solo una condanna a quattro mesi per lesioni. «Ma l’unico referto medico presentato dall’ex moglie parla di un vago “dolore”, senza evidenziare alcun segno - sottolineano gli avvocati Andrea Cantoni e Margherita Folzani, titolari della difesa dell’operaio -. Lette le motivazioni, ricorreremo in Cassazione contro questa sentenza. E intanto valuteremo se ci siano le condizioni per una causa per ingiusta detenzione».
Impegnato a contribuire alle spese domestiche e a versare gli alimenti per il mantenimento dei figli (che sia sempre stato un ottimo padre lo avrebbe ammesso anche l’ex moglie), Youssou fu costretto a cercare un nuovo alloggio. «Con i pochissimi soldi che mi restavano e dovendo superare la difficoltà di chi si presenta da straniero: non è facile, posso assicurarlo» dice. Alla fine, si inventò un giaciglio in cantina o nel garage: troppo vicino alla consorte.
Per questo, in giugno venne arrestato, per essere poi processato e condannato in primo grado in ottobre. «In carcere - racconta - era dura, c’è di tutto. Ma niente mi ha fatto soffrire quanto la mancanza dei miei figli. Ho potuto rivederli dopo cinque mesi, grazie ai servizi sociali. Quegli incontri ogni due settimane mi hanno comunque permesso di approfondire il mio rapporto con loro». Per il resto, Youssou ha cercato di essere fatalista, senza macerarsi nel risentimento. In via Burla è riuscito a lavorare l’ultimo mese, ha cercato di impiegare il tempo studiando in biblioteca e giocando a calcetto, quando possibile. Ha potuto misurare l’affetto dei figli e dei fratelli e la solidarietà di alcuni colleghi. «Con questa storia - dice - ho perso tutto: anche il posto nell'azienda per la quale ho lavorato per 13 anni. Ora devo e voglio ripartire. Spero di averne presto la possibilità».
Roberto Longoni