Il Boss

Il "nuovo" Springsteen sbarca in Italia: tanti parmigiani pronti alla trasferta - La setlist e gli show di Dublino

Matteo Scipioni

Finito? Manco per idea. Chi lo dava incamminato sul viale del tramonto ha solo guardato frettolosamente l'età, limitandosi ai paragoni con i concerti del passato. Leggendari, trascinanti e incalzanti. A settembre Bruce Springsteen farà 74 anni. Un'età, che per una macchina da guerra come lui, impone una svolta.

E' inevitabile: il palco non ammette cali di tensione, hai migliaia di occhi puntati addosso. E se fino a sette anni fa (ultima tournée) esplodeva sul palco senza cedimenti, il calo di efficacia e intensità ora è sempre dietro l'angolo. «Meglio non rischiare», si sarà detto Bruce.

Il Boss dà sempre e ancora tutto quello che ha, dosando solo di più le energie, insomma è diventato più conservativo, controlla le marce e l'acceleratore: quando una volta ingranava la quinta non ce n'era per nessuno, era incontenibile in energia, corse sul palco, salti sul pianoforte, balletti e trascinamento del pubblico. Adesso? Mantiene la quarta con generosa costanza, ma va ancora forte, eccome! Resta un animale da palco, l'unico rocker a sventolare con chitarra e batteria la bandiera dell'energia e del sudore (gli altri della band con giacche e sciarpe, lui camicetta con maniche arrotolate sui bicipiti per tutto il concerto).

Ho visto Springsteen 32 volte, le ultime due nel trittico di Dublino, nella splendida cornice dell'Rds arena: uno stadio votato al rugby con club house, ristorante e uffici in stile medievale inglese come cornice, un prato nell'antistadio curatissimo in cui riposare, mangiare e prepararsi ad un concerto sempre bello e ricco di potenza, sorrisi e energia. Organizzazione perfetta, da copiare. A breve, il 18 e il 21 Bruce tornerà in Italia sette anni dall'ultima volta (lontana, per modo di dire è la conclusione del tour a Monza). Due date a cui tanti fans e appassionati parmigiani parteciperanno: Ferrara e Roma nell'emozionante cornice del Circo Massimo. Biglietti un po' cari e acquistati, secondo la tendenza di questi anni, un anno fa (cosa che fa storcere un po' il naso).

Torna nel nostro Paese dopo due date a Barcellona, tre a Dublino e due a Parigi. Tre ore filate, senza respiro, di concerto. E se qualcuno, con semplicità, dice che prima allungava anche fino a quattro, non si gira nemmeno per vedere che in giro nessuno è come lui. La maggior parte dei colleghi arriva a due ore (con pausa). Ed è tanto. L'unica nota che salta subito agli occhi, all'udito, per chi lo segue dal 1985 (21 giugno, leggendario San Siro: come non innamorarsi di lui?), è la scaletta. Siamo abituati a concerti e set list sempre diversi. Un concerto del Boss era sempre diverso dall'altro, unico. Leggenda vuole che lui si faccia guidare dal pubblico, dall'istinto e dal divertimento del momento, della serata. In questo tour, invece, non è più così. 26-29 canzoni in tutto: 22 sono sempre le stesse, cantate in ordine sparso, (No Surrender, Ghosts, Prove it all night, Letter to you, The promised land, Out in the street, Kitty's back, Nightshift, Mary's place, The E street shuffle, Last Man standing, Backstreet, Because the night, She's the one, Wrecking ball, The Rising, Badlands, Born to run, Glory days, Dancing in the dark, Tenth avenue freeze-out e I'll see you in my dreams), più cinque mega classici che sono spesso presenti (Bobby Jean, Thunder road, Candy'r room, Johnny 99 e Born in the Usa). Le altre tre-cinque canzoni sono pescate dal suo infinito repertorio in base alle sensazioni del momento. Lui può e ci riesce da sempre. La band, come sempre, lo segue: un meccanismo ben rodato da bravura, feeling e sorrisi. Bruce parte subito con energia, solletica il pubblico e testa chi ha davanti. Se il pubblico risponde in sintonia, lo spettacolo vola. C'è da giurare che il pubblico italiano sarà miccia assicurata.

A Dublino c'è feeling (Bruce ha origini nell'isola di smeraldo), ma nel confronto con la platea di casa nostra da sempre non c'è competizione (come dice Bruce, siamo tra i suoi preferiti) in materia di energia e complicità per nessun altro. Alla Rds arena sventolano bandiere di ogni provenienza, spuntano pure due tricolori, uno targato Parma. Bruce, come detto, dosa, contiene con abilità scaletta e energie: spazia dal rock crudo a quello acustico, mostra le abilità musicali della E Street band: dei fiati, della sessione ritmica o delle voci gospel e soul dei coristi e delle coriste. Si divertono tutti e si vede, se la ridono tra di loro. Bruce scherza con Max Weimberg, duetta modificando qualche parola delle canzoni con Little Steven. Spazio agli assoli di chitarra di Nils Lofgren: elegante e potente. Scenografia in pieno stile rock, essenziale: nera, casse a pioggia con maxischermi ai lati e alle sue spalle.

Momento intenso quando ricorda di «vivere il momento» dedicando Last man standing a George Theiss, scomparso: lui e il Boss erano gli ultimi due membri rimasti della prima band di Bruce, i Castiles. Bruce dedica sguardi teneri e paterni ogni volta che coinvolge Jake Clemons, nipote dell'indimenticabile Clarence. A «Big man» e Danny Federici (storici membri della band, scomparsi) è dedicata Tenth avenue freeze-out, la canzone che celebra la E-Street band: lacrimuccia nel vedere i due nelle immagini che scorrono alle spalle. Potenza, tecnica, divertimento, rock puro ma con fughe nel funky, nel jazz e nel samba-rock. Romanticismo, impegno sociale, ricordi e complicità tra signori che hanno tutti tra i 71 e i 73 anni e suonano assieme da 40.

Bruce è sempre the Boss: guarda il pubblico, si ferma e si strappa la camicia (mostrando un invidiabile fisico). Mascella serrata, sguardo puntato sui fans: esplode il boato. Coretti e duetti stra-classici (ma restano sempre una sorridente iniezione di adrenalina) con il pubblico, le mani ondeggiano e i «ragazzi» rispondono con trenini sincopati sul palco. Bruce limita, ma non cancella, le corse da una parte all'altra del sotto-palco, cerca e trova il contatto con i fan che, inquadrati nel maxi schermo, mostrano di conoscere a menadito le canzoni. Il consiglio? Cancellate (ma non dimenticate!) i concerti del passato. Pensate di andarlo a vedere e sentire per la prima volta e resterete a bocca aperta. E sulla scaletta fissa non c'è da giurarci, lui in Italia regala sempre sorprese.

Matteo Scipioni