Volontari sub in Romagna
Quegli «angeli » arrivati sul gommone
Serviva un cuore anfibio, in quei primi frangenti, e loro erano pronti: il gommone sul carrello, sul pulmino mute stagne, stivali, attrezzatura varia e abbondante buona volontà a prova di freddo, fatica e mali di schiena vari.
A lungo, però, Sant'Agata hanno potuto solo immaginarla, dopo la partenza da via del Taglio. Sulla carta era un paese oltre l'angolo che divide l'Emilia dalla Romagna, nei fatti invece un luogo terribilmente lontano, separato dal resto del mondo da una distesa d'acqua e fango: oltre Bologna, l'autostrada era bloccata e le arterie secondarie finivano davanti a ponti crollati e campagne inondate. C'era il rischio di doverlo usare già lungo il trasferimento, il gommone...
«Abbiamo raggiunto Sant'Agata sul Santerno solo grazie alla scorta di una pattuglia inviata dalla fortuna - racconta Pierluigi Negri -. Seguendo i carabinieri, abbiamo percorso stradine sconosciute che ci portavano sempre più in là».
Per verificare, giunti alla meta, che la furia della piena avrebbe dovuto perfino cambiare la toponomastica, trasformando quel «sul» in un «sotto» il Santerno. Dopo essere tracimato, il fiume era esploso sul paese, verso le 3,40 di mercoledì 17, attraverso un varco di una trentina di metri nell'argine appena a monte dell'abitato. Scesi dal pulmino nel pomeriggio dello stesso giorno, Pierluigi Negri, Riccardo Maestri, Antonio Graffi e Roberto Marchignoli, della Federazione italiana attività subacquee, sono stati tra i primi ad affrontare la corrente che ancora la faceva da padrona tra i campi e le strade.
I quattro volontari della Fias, una delle 74 associazioni in seno alla Coordinamento della Protezione civile parmigiana, si sono subito messi a disposizione dei vigili del fuoco, nel centro operativo insediato sulla sponda destra, quella risparmiata dal fiume (ma, tranne le più recenti attività artigianali e commerciali, il paese con i suoi 2900 abitanti è tutto sull’altro lato). «Calato in acqua il gommone grazie all'aiuto di un giovane del posto, che era riuscito a mettersi in salvo dalla casa alluvionata - prosegue Negri - abbiamo seguito una lista di indirizzi di persone da soccorrere . E abbiamo cominciato a fare la spola in quel paesaggio terribile, costretti a confrontarci con la corrente che tagliava in due il centro: troppo tumultuosa perché la si potesse attraversare». Era la linea rossa. A varcarla, i soccorritori rischiavano a loro volta di trasformarsi in persone da soccorrere. Alcuni indirizzi erano irraggiungibili.
«Pagaiavamo tra le case allagate fino quasi al primo piano, sfiorando parcheggi, parchi giochi, mezzi di vario tipo, attenti a non incocciare ostacoli invisibili sotto l'acqua torbida». Al silenzio della terra inondata, in cielo rispondeva il vorticare frenetico degli elicotteri. Erano di Vigili del fuoco, Guardia costiera, Guardia di finanza, Polizia: i loro uomini si abbassavano sui tetti e con il verricello caricavano le persone sui tetti o affacciate alle finestre. Intanto, lungo l'argine grossi camion carichi di ghiaia e massi erano impegnati nella corsa contro il tempo per tappare la falla nell’argine. «Dai primi piani, la gente ci chiamava, ma non sempre voleva essere evacuata - prosegue Negri -. Ad alcuni bastava vederci e sentirsi domandare se ci fosse bisogno. Non abbiamo mai visto disperazione, ma un po' di rassegnazione e una grande dignità».
A chiedere di esser traghettati a riva erano soprattutto gli anziani e le famiglie con bambini. Venivano portati in spalla da Graffi e Marchignoli scesi in acqua con le mute stagne: una volta a bordo, tutti ringraziavano e c'è stato chi ha fatto anche il segno di vittoria. «Ora si fa un giretto in barca» diceva Maestri, strappando un sorriso ai bambini. «Come a Venezia».
«Ci sono stati anche nuclei fatti salire sul canotto dalle tettoie con scalette improvvisate, grazie all'inventiva di Riccardo. Antonio, nonostante tutta la sua buona volontà, invece non se l'è sentita di caricare sulle spalle un'anziana sovrappeso». Accompagnata con l'acqua alla cintola, la donna è stata poi caricata sul gommone, per fortuna molto stabile. Anche un boxer tutto tremante e impaurito è stato preso a bordo con il suo padrone, per poi essere affidato ai volontari in attesa sull'argine. L'ultimo giro nel quartiere alluvionato, il gommone l'ha fatto dopo il tramonto. «Ed è stato a vuoto - racconta Negri -. Non c'erano più persone da evacuare. In totale avevamo traghettato quindici famiglie verso le strutture di accoglienza».
L'indomani, le operazioni di soccorso sarebbero proseguite a piedi, mentre gli interventi più complicati sarebbero stati affidati ai marò del San Marco arrivati da Brindisi dopo dodici ore di viaggio. Pochi giorni dopo, ai quattro parmigiani della Fias è stato chiesto di ripartire per Sant'Agata: questa volta per far parte della squadra della cucina mobile. E loro, lasciato a Parma il gommone, hanno continuato a «remare» per la solidarietà stando ai fornelli. «Un'esperienza così fa dimenticare i tuoi problemi e ti lascia dentro il desiderio di renderti utile - conclude Negri -. L’aiuto agli altri è anche arricchimento nostro».
Roberto Longoni