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Federico Rossi, l'adepto bussetano del dio del pallone

Federico Rossi? Ma seguro! Il mio Chicu, tersino e atacante, rapido como el vento. Bel jocatore e bravo ragaso». E’ in portoghese-brasiliano che risuona al telefono l’elogio di Federico Rossi: è il novantunenne Luis Vinicio, suo allenatore per un anno e poco più, ma che lo ha segnato per sempre. Mette i lucciconi agli occhi, Chicco, quando si parla del suo mentore ad Avellino e poi per troppo poco tempo a Udine. Gli chiedo ma cos’hai trovato in lui di così eccezionale, e Federico si emoziona, quasi si astrae, eccolo che con la mente e il cuore è già ad Avellino, «l’esperienza sportiva e umana tra le più intense della mia vita».

E’ una storia che si snoda tra Semoriva (l’antica Summum cum Ripa, tradotta da.. scongiuri!) frazione di Busseto, Rio de Janeiro e Napoli, passando per Belo Horizonte , Genova, Pisa, Firenze, Udine ed Avellino. Storia di goal e di gloria sportiva, di gioie e di dolorosi infortuni, di solitudini vinte dall’amore. Protagonisti principali : Federico Rossi e Roberta Guidotti; Luis Vinicius de Menezes e Flora Aida Piccaglia. L’innamoramento tra i due ragazzini semorivani (?) ruota intorno a Palazzo Politi, nobile dimora della famiglia materna di Chicco, possidenti terrrieri.

Lui, bello e aitante castano- ricciuto dagli occhi blu ha 17 anni: ed è già da un po’ che ogni tre per due si fa trovare, con puntuale casualità, a far finta di aver da fare qualcosa di improrogabile intorno alla carrareccia che porta dai Guidotti, agricoltori confinanti, genitori di Roberta, 15 anni, portati con formose ma delicate fattezze di bella mora dal sorriso incantatore. Chicco è destinato a diventare un adepto del Dio Pallone: suo padre è Adriano Rossi, centravanti potente, terrore degli stopper, spesso malmenati da questo atletico «ariete» di Parma, Cremonese, Cirio Napoli, in serie C.

E due anni in serie B, a Messina: da dove dovrà fuggire, insieme alla moglie, Maria Politi, scortati da due pantere della Polizia ululanti a tutta sirena, per sottrarlo all’ira di 16mila spettatori ai quali aveva mostrato, con una lenta piroetta panoramica 360 gradi, ambedue le mani, ciascuna con l’indice e il mignolo dritti e svettanti nel gesto delle corna. Chicco è un atleta di rara velocità: idoleggia il padre, e ne è ricambiato. Passa i pomeriggi a giocare a pallone fino a sera, all’oratorio di Busseto, «al camp di prét».

A sedici anni eccolo già in campo nel Salsomaggiore, in Promozione. Il valtarese Eugenio Bersellini a quel tempo allenatore della Sampdoria, e il suo vice, Armando Onesti, fidentino, sarto e preparatore atletico, lo adocchiano e lo portano a Genova. «Un anno intero di soli allenamenti», ricorda Chicco che poi svetta nella Samp giovanile che nel 1977 vince il Torneo di Viareggio. L’esordio in prima squadra, in serie B, avviene l’11 settembre del ’77 a Palermo, vigilia del suo ventesimo compleanno (12/9/57).

Da Genova al Pisa di Anconetani presidente che sapeva di calcio, il matrimonio con Roberta nel 1979, due anni buoni sempre in serie B nella città della torre che pende sul Campo dei Miracoli. E dai e dai ecco dunque il miracolo, l’incontro con il padre putativo, Luis Vinicius. Tutto merito di Sibilia, il presidente che ha fiuto fino e le frequentazioni camorristiche. Faccia di tolla, lui e il brasiliano Juary - quello che dopo il goal andava a danzare intorno alla bandierina del calcio d’angolo - vanno in tribunale e omaggiano il boss Cutolo con una medaglia d’oro. «Lo ricordo bene, siamo nell’autunno del 1981», rammenta Chicco: «Ero appena sbarcato ad Avellino, acquistato da Sibilia che venne a prenderci in aeroporto a Napoli, io e Roberta freschi sposi. Ero arrivato in serie A, il sogno di tutti i calciatori». «Ma era una situazione terribile, il terremoto dell’anno prima aveva fatto morire tremila persone, in trentamila erano rimasti feriti e seicentomila Irpini non avevano più la casa. C’era stata persino una rapina a mano armata negli spogliatoi, mentre noi giocatori eravamo all’allenamento. E poi il presidente venne mandato al soggiorno obbligato in Romagna».

Ma è qui che c’è l’incontro con il Vinicius di Belo Horizonte: faccia color cuoio, piega malinconica delle labbra vinta dal sorriso timido ma illuminante, cordiale e beneducato, pacato e sincero, ha un fascino del tutto particolare su un suo giovane simile ed emulo qual è il nostro eroe di Semoriva.

Nome, questo, che sembra l’altrove di un romanzo del cantore di Bahia, Jorge Amado: titolo «Dona Flor e il suo burlador di Semoriva». Bella storia, quella di Vinicio che a 18 anni si iscrive ad Architettura, nella città natale. Ma ingaggiato dal leggendario Botafogo emigra a Rio de Janeiro dove incontra Flora, figlia di un ricco industriale italo-brasiliano, che manda per aria tutto. Vinicio va in nazionale, e nel 1956 arriva a Napoli, segna gol a valanga, nasce il mito de «o Lione». Un pomeriggio sta passeggiando a Chiaia: d’un tratto si imbatte in un crocchio di giovani turiste brasiliane in ripartenza dopo la visita a Napoli. Sì, lettore, d’accordo ci siamo: come in tutti i romanzi sentimentali degni di tale definizione, ecco il finale da lacrima per troppa felicità. Vinicio, sbiancato in viso e fattosi il suo cuore tachicardico, si avvicina, lei lo vede ed è fatta.

Lui ora ha uno stipendio da nababbo, tale da strappare il placet al di lei genitore miliardario. Si sposano un mese dopo, e cosa stupenda, sì, abitano ancora sempre nella stessa casa di via Manzoni, dalle finestre della quale si vede lo stadio. Lui 91 anni compiuti il 28 febbraio scorso, lei molti di meno.

Dunque è nel 1981 il punto più alto raggiunto da Chicco, terzino destro numero 2: «fluidificante» come si usava dire a quei tempi: si spingeva in galoppate da prateria sconfinata e poi rientrava a difendere grazie al perfetto recupero di fiato. L’esordio in A è il 13 settembre 1981, all’Olimpico contro la Roma: per festeggiare il ventiquattresimo anno compiuto il giorno prima gli tocca prendersi in custodia un certo Bruno Conti, ala vecchia maniera, capace di stordire il marcatore con continue serpentine saltauomo. Ma Liedholm gioca a zona, come il grande Vinicio: ed è Conti, che passa novanta minuti ansiosi e ansiogeni, sfidato e spesso vinto nella corsa dal Chicu rapido como el vento.

Finisce zero a zero, nonostante la classe di Falcao, la spinta di Ancelotti e l’irruenza di Pruzzo che sbaglia un rigore. Da qui per ventotto domeniche filate, Chicco fa scintille, sospinto dai trentamila del Partenio, stadio castigamatti, se la vede e se la gioca con clienti come Marocchino, Boniek, Platini, Maradona, Tardelli, Bettega, Rummenigge, tutti campioni che lui affronta senza paura: «Mi piaceva il calcio anni Settanta e Ottanta perché non c’erano “calciattori’’ che ruzzolavano urlando al minimo contatto. Le botte si davano e si prendevano in silenzio, poi finita la gara, tutti amici come prima. I più difficili da controllare? Direi i corridori imprevedibili, Boniek e Laudrup, per esempio, Laudrup piroettava elegante, ammiratore di sé stesso, sicché al secondo impatto gliene ho data una un po’ forte: lui ha capito ed è andato a fare le sue serpentine dieci metri più indietro».

Ma insomma cos’è che ti diceva Vinicio? Ti incitava? Ordinava? Chicco s’illumina di sorrisi: «Niente! Non mi diceva niente. Mi guardava dritto negli occhi e sorrideva: ecco, gli leggevo i sorrisi e l’annuire del capo, e la lieve pacca sulla spalla, che mi dava a fine gara!» Ventinove partite così ben giocate, accendono l’attenzione di molte squadre: come la Roma di Liedholm che gioca a zona. Sembra fatta e invece ecco la Fiorentina che mette sul piatto due miliardi di lire. Federico è felice e insieme triste: intasca una cifra record nel calciomercato, va in una squadra che lotterà per lo scudetto, in una città bellissima. Ma con l’allenatore De Sisti non c’è intesa. Ventisei partite in due stagioni sono pochine: e lui spinge per essere venduto a… Sì, avete indovinato, ma certo: all’Udinese, allenata da un tal Vinicio e rinforzata nientemeno che dal brasiliano Zico «fuoriclasse e campione di lealtà ed amicizia» dice Federico, che tornato «Chicu» incomincia alla grande. Le prime dieci partite sono tutte perfette. Ma il 24 novembre 1984 in un contrasto con lo juventino Briaschi, un ginocchio fa crac.. Dovrà stare fermo mesi dal chirurgo a Sant’Etienne.

Lo tira su di morale Platini, che, originario di quei luoghi, lo va a trovare e gli segnala i ristoranti migliori. Chicco torna e gioca altri due bei campionati di serie A e uno di serie B a Udine. L’ultimo da professionista è a Taranto. A 32 anni vince un campionato di serie D con l’Imola e poi torna definitivamente a casa, allena dilettanti, a Soragna, a Busseto, a Fidenza. Dove vive con Roberta e due figli Marco e Daniele, nati uno ad Avellino e l’altro a Udine: i figli della piena felicità, i giorni nei quali nelle sue vele aveva il vento di un paterno Eolo di nome Vinicio. O dite voi che è soltanto un caso?

Vittorio Testa