Tutta Parma
La città vecchia? Tra via Dalmazia e stradello San Girolamo
Gli storici sostengono che sia la fetta più antica di Parma. Infatti si ha notizia che lì sorgessero le terramare di cui sembra, in passato, essere stata trovata traccia. E allora, contravvenendo ad un luogo comune, «Parma vecchia», non è identificabile con l’Oltretorrente, ma con quei borghi all’ombra dei campanili del Duomo, San Giovanni e San Sepolcro. Stiamo parlando, nel caso specifico, di via Dalmazia, borgo Valorio e Stradello o Stradoncello San Girolamo. Via Dalmazia, un tempo, era chiamata borgo Stallatici, borgo Valorio prese il nome dalla fonte Valoria mentre, Stradello San Girolamo, dall’omonimo oratorio. I significati di questi strani toponimi ce li svela il Sitti, «Parma nel nome delle sue Strade» (Officina Grafica Fresching - 1929), e anche il bel volume curato da Giovanni Ferraguti «I borghi di Parma» ( Battei editore - 1981).
L’attuale via Dalmazia, un tempo, era contrassegnata da numerosi postazioni di stallo determinate dall’intenso movimento di cavalli e carrozze. Una curiosità, anzi due. In questa strada visse il famoso ingegnere Antonio Cocconcelli, progettista del Ponte sul Taro voluto nel 1819 da Maria Luigia che, ai quei tempi, si rivelò un’ opera molto ardita, di strategica importanza e tuttora in funzione. Il borgo fu pure teatro dei primi moti rivoluzionari del 22 luglio 1854. Inoltre, all’angolo fra Stradoncello San Girolamo e Via Dalmazia, al civico 18, sorgeva l’Officina Meccanica Mavilla a gestione famigliare. Costituita a fine anni ’40 da Luigi Mavilla, costruiva macchinari per le grandi aziende parmigiane quali Barilla, Tanara ed altre. A metà degli anni ’80 l’officina si trasferì al Cornocchio dove continuò per diversi anni la produzione per poi venire ceduta ad un'importante azienda del settore.
Il toponimo borgo Valorio deriva, invece, dalla fontana «Valoria» che sorgeva a ridosso della chiesa di San Sepolcro e che si rivelò essere, a quei tempi, strumento indispensabile per il funzionamento delle numerose macine presenti in zona. Ed, infine, l’ultima curiosità, davvero singolare, ci deriva da quanto asseriva l’indimenticata guida di Parma Giangiuseppe Vignoli il quale sosteneva che Borgo Valorio, nel periodo estivo, fosse il borgo più fresco della città. Tra questa fitta ragnatela di borghi antichi sorgeva un vero e proprio tesoro d’arte e di storia, oggi ridotto ad un accumulo di sassi coperti da erbacce.
Si trattava dell’Oratorio di San Girolamo ubicato in fondo a Borgo Valorio, non lungi da Porta San Michele, eretto nel 1451, da una congregazione di sacerdoti i quali vi si stabilirono per celebrarvi insieme i divini uffici. Il principale fondatore, però, fu il conte Cristofaro Valeri, che pagò tutte le spese della costruzione. Ne fece la consacrazione il vescovo ausiliare Agostino Civitanese il 26 dicembre 1452. Dimostratosi il sito troppo angusto, i sacerdoti, si trasferirono presso l’oratorio di Sant’Ambrogio detto delle «Cinque Piaghe» (in strada Farini - angolo via Torrigiani ora sede della Libreria Feltrinelli) dopo di che si trasferirono presso l’antica chiesa parrocchiale di San Pietro (piazza Garibaldi) allora situata sul principio della strada detta Bassa dei Magnani. Abbandonato dalla Congregazione dei sacerdoti, nel 1475, l’oratorio, fu ceduto ai Certosini, i quali officiavano un grande monastero nel suburbio (monastero di via Mantova, poi Riformatorio dedicato all’abate dei Certosini padre Raffaele Lambruschini ed, in seguito, sede della Scuola allievi agenti di custodia) ma desideravano avere un ospizio in città.
Soppressi i Certosini nel 1769, l’oratorio passò ai Domenicani di Colorno che, nel 1780, lo vendettero. Poco prima del 1842 fu poi convertito in magazzino. La facciata aveva un piccolo occhio circolare e, tanto questa come il fianco, erano scompartiti da lesene. Frontone terminale e fianco erano ornati di denti a sega. Fino agli anni ‘90 rimanevano in piedi i muri perimetrali e la facciata, senza però l’occhio circolare sulla facciata. In un articolo apparso il 6 marzo 1981 (pagina 7) sulla Gazzetta di Parma l’indimenticato Pier Paolo Mendogni, vice direttore del giornale nonché stimato critico d’arte, denunciò senza mezzi termini l’oltraggio che era stato fatto a questa antica testimonianza cittadina. «Dove fino a un mese fa - esordiva Mendogni - sorgeva l’oratorio quattrocentesco oramai sconsacrato di San Girolamo, oggi, c’è solo un mucchio di sassi e mattoni: un’altra memoria della storia cittadina è stata cancellata per l’incuria degli uomini che nulla hanno fatto per arrestare l’opera corrosiva del tempo. Anzi, si sono affrettati a demolire anche ciò che ancora si sarebbe potuto salvare. E’ accaduto, esattamente, il 13 febbraio. Quella mattina una parete dell’antico tempio crollò e i grossi sassi caddero in parte nel cortile di un condominio e in parte su un garage. I tecnici comunali andarono a compiere un immediato sopralluogo e la mattina seguente il sindaco emanava un’ordinanza con la quale si disponeva di circoscrivere le strutture rimaste in piedi senza sostegni e si ingiungeva di non rimuovere le coperture e le altre parti crollate. Senonché era già tardi. Nel pomeriggio precedente qualcuno aveva frettolosamente provveduto a completare l’opera del tempo, distruggendo quanto era rimasto anche se era tutelato da un vincolo della Soprintendenza di beni architettonici. Con la scomparsa di San Girolamo la storia civile e urbana della nostra città ha subito un impoverimento morale e materiale. L’oratorio rappresentava, infatti, un anello di quel filone architettonico, forse minore dal punto di vista qualitativo, ma assai significativo che aveva radici prettamente locali e si dipanava attraverso la chiese di Sant’Andrea (via Cavestro ora spazio adibito a mostre d’arte, ndr) e Santa Cecilia (in Guasti santa Cecilia, ndr), quest’ultima, snaturata da alcune violenze che non possono non tubare chi ha un minimo di sensibilità per il patrimonio culturale cittadino».
«Il conte Valeri – è riportato nell’articolo – vent’anni dopo la sua costruzione, donò la chiesa (Oratorio San Girolamo) insieme all’orto e a una casa contigua ai Certosini i quali nel 1477 chiesero al Comune di poter riparare con una muraglia la loro proprietà. La casa venne utilizzata come ospizio per i pellegrini. Dalla descrizione di Cristoforo Della Torre del 1564 si coglie che l’oratorio passò dalla giurisdizione della parrocchia di San Sepolcro a quella di San Michele». «Il Pezzana - conclude così molto amaramente Mendogni - annotò una ristrutturazione in atto nel 1842 ad opera della famiglia Santesi ma, successivamente, l’oratorio fece una triste fine venendo anche adibito a magazzino, Da allora la costruzione andò sempre più degradando nonostante rappresentasse uno dei rari esempi di architettura della metà del Quattrocento fino a concludere così squallidamente la sua esistenza fra la passiva indifferenza di molti». L’Oratorio di San Girolamo non è stato il solo ed unico esempio di dissennate distruzioni di opere d’arte e di antiche strutture cittadine. Basti solo pensare alle beccherie del Bettoli in Ghiaia ed alle mura che circondavano la città. Roba da mangiarsi le mani...
Lorenzo Sartorio