L'intervista
Giada Franco: “Così farò crescere le Furie Rosse di domani»
C'è un aneddoto che inquadra perfettamente la personalità di Giada Franco. A raccontarlo è Ivano Iemmi, presidente delle Furie Rosse. «Era appena arrivata da noi su segnalazione di Maria Grazia Cioffi, che avevamo ingaggiato da Benevento. Alla prima amichevole giocata a Monza, Giada prese in mano la mischia: aveva 20 anni, ma quando iniziò a parlare alla squadra capimmo tutti di aver trovato una vera leader».
Sette anni dopo (con uno scudetto cucito sul petto nel 2018), la terza linea italo-brasiliana è ancora un punto di riferimento per il Rugby Colorno femminile. Anche adesso che sta recuperando dal grave infortunio subito con la Nazionale italiana, nell'ultima partita del Sei Nazioni.
Un sorriso le illumina il volto, incorniciato da quei lunghi capelli ricci che la fanno sembrare una leonessa. «Ma – confessa lei – stare lontana dal campo è dura da metabolizzare...».
Come trascorre le sue giornate?
«In questa fase, dove avrei preferito staccare la spina e godermi le vacanze, sono totalmente assorbita dalla riabilitazione: seguo un programma specifico a Brescia, in un centro specializzato. Certe volte, penso siano più faticose le terapie degli allenamenti».
Quanto ci vorrà per tornare in campo?
«Mi sono rotta crociato e menisco: per questo genere di infortuni, dopo l'operazione, i tempi di recupero sono stimati in 8-9 mesi. Se tutto procederà per il verso giusto, ci rivedremo nel 2024».
Nel frattempo continua a studiare da allenatrice, visto che dalla prossima stagione sarà la responsabile tecnica della Juniores.
«Una nomina gratificante: in questo momento mi aiuta a sprigionare energie positive. Insieme al club, lavoriamo a questa cosa da un anno: ho seguito i corsi da allenatore e preparatore atletico Fir a livello Juniores (Franco è laureata in Scienze Motorie, ndr). Nella passata stagione ho iniziato nello staff tecnico delle Under 15 e 17 femminili: un progetto sviluppato in collaborazione con Viadana. Poi ho lavorato anche con l'Under 15 maschile guidata da Michele Mordacci, che ora sarà il nuovo head coach delle Furie Rosse».
Ha un bel feeling con Mordacci?
«Oltre ad essere legata a lui da un rapporto di sincera amicizia personale, Michele è un punto di riferimento. Lo è per tutte. Chi arriva a Colorno, la prima cosa che fa è affacciarsi dalle parti del suo ufficio: lui ha sempre una buona parola e un consiglio utile da dispensare».
Il presidente Iemmi «vede» per lei un grande futuro da allenatrice. È una sua ambizione?
«Allenare mi piace: curare i fondamentali dei giovani e trasmettere le mie idee di gioco sono due aspetti che mi appassionano. Tuttavia resto consapevole di dover accumulare esperienza e, ancor di più, di avere cose da imparare. Prima tra tutte, frenare la mia irruenza».
Pur ricoprendo un doppio ruolo, avverte già lo stress del passaggio da giocatrice ad allenatrice?
«Stress non più di tanto. Però allenare richiede un diverso approccio mentale. Io sono piuttosto esigente con me stessa, Pur andandoci piano, è normale che lo sia anche con le ragazze che seguo. Ma vorrei che questo rappresentasse per loro uno stimolo».
Che annata si aspetta con la Juniores?
«Entusiasmante, da vivere appieno. Anche se penso che quando tornerò a giocare ci potrebbero essere volte nelle quali non potrò seguire queste ragazze in partita. Conosco qualcuna di loro perché si allena con noi grandi: è un gruppo che ha qualità. Ritengo ci siano i presupposti per raccogliere i frutti di un lavoro che la società ha sviluppato con cura. L'Under 18 ha visto rallentata la propria crescita a causa della pandemia, ma il tempo per recuperare c'è. E dietro scalpitano le Under 14: abbiamo una decina di elementi che arrivano dal minirugby con i maschi. Hanno una voglia pazzesca».
Cosa si augura per queste giovani?
«Che continuino a dedicarsi al rugby con divertimento e passione, inseguendo i propri sogni. Nel mio piccolo spero di poter contribuire a fare di loro le Furie Rosse che verranno».
Come si sente ad essere un modello per le nuove generazioni?
«Modello è una parola grossa. È bello però quando le ragazzine ti vengono a chiedere la maglia o di scattare un selfie ricordo insieme. Ma soprattutto è incoraggiante vederle interessate allo sport: un valore che fa la differenza. Anche per me è stato così».
Come ha iniziato a giocare a rugby?
«In famiglia non lo praticava nessuno. A Salerno, dove sono cresciuta, c'era un progetto scuola. Proprio come quello che il Rugby Colorno porta avanti qui. Non lo conoscevo neanche, il rugby. Ma mi ha subito affascinata per il contatto nelle fasi di gioco, per la velocità, per il senso di squadra. Sono andata a giocare a Benevento. Il campionato era suddiviso in zone territoriali. E pensi che il mio debutto, a 15 anni, avvenne proprio qui a Colorno».
Quasi un segno del destino. Cosa ricorda di quel giorno?
«Il freddo pungente e la nebbia, che in Campania non avevo mai visto (ride, ndr). Giocavo nel ruolo di estremo e di fronte avevo Chiara Castellarin, che era già una nazionale azzurra, famosa per la sua velocità. Sgusciava da tutte le parti: non riuscivo a vederla, figuriamoci a prenderla...».
Quanto sono cresciute le Furie Rosse in questi anni?
«Siamo passate da una prima finale persa nel 2017 allo scudetto l'anno successivo: un'annata incredibile. Ho sempre pensato che potessimo vincerlo, il tricolore: eravamo una squadra esperta, solida, determinata. Poi è arrivato il momento della ricostruzione, che ci ha portate fino all'ultima semifinale persa con Villorba. Ora concentriamoci sulla prossima stagione: vogliamo tornare a giocarci una finale scudetto. La meritiamo. E la merita il Colorno Rugby: un vero top club, con un progetto serio e ambizioso. Qui è casa mia: c'è tutto quello che serve, in termini di strutture, per esprimersi al meglio».
Lei ha giocato un anno in Inghilterra, fra le fila delle Harlequin Ladies: che avventura è stata?
«Proficua e stimolante. In quel contesto, il rugby femminile viene vissuto in maniera professionale. E come tale è percepito pure all'esterno. In Italia, invece, ci sono ancora tanti pregiudizi da abbattere».
Il professionismo può aiutare il movimento rugbistico femminile?
«Non basta un'etichetta. Per diventare grandi serve ampliare la base partecipativa: contano i progetti, le idee, l'opera di promozione, trovare il modo di creare l'appeal giusto».
La sua storia può essere un esempio: lei è partita dalle scuole ed è arrivata a giocare un Mondiale. A proposito, come sta la Nazionale azzurra?
«Prosegue il suo percorso di sviluppo, che potrà avere impulso dalla recente creazione dell'Under 20 e dell'Under 18: selezioni che offrono alle giovani più talentuose la possibilità di vivere, fin da subito, il confronto internazionale. Se in futuro avranno la fortuna di approdare nella Nazionale maggiore, questa generazione sarà già pronta».
Vittorio Rotolo