Parma sotterranea
A Palazzo Boselli (via XXII Luglio) il rifugio antiaereo che ancora «parla»
La targa è originale ma dà poco nell'occhio e forse anche nel tempo: «Idrante». Per il resto non c'è nulla a segnalare che Palazzo Boselli, il bellissimo edificio di origine medievale di via XXII Luglio, nasconda anche una memoria collettiva perfettamente conservata. «La migliore in città» sostiene un grande esperto di rifugi antiaerei, Andrea Di Betta, archivista e presidente della sezione locale dell'Associazione Nazionale Combattenti Forze Armate Regolari Guerra di Liberazione.
Lui ad aver notato quell'affresco «sospetto» sulla chiesa di San Quintino, che un restauro gentile non ha cancellato ma che rimane difficile da decifrare, se non mettendosi d'impegno dall'altra parte della strada. Sempre lui a rintracciare uno degli eredi, Saverio Boselli, l'uomo che ha permesso alla Gazzetta di entrare oltre quel portone e infilarsi in un mondo sotterraneo intatto di ambienti che si susseguono e spuntano a lato nel nero. Alle cantine si scende da una scala a chiocciola. Lo scheletro dell'impianto elettrico sopra la testa è quello del tempo. Originale - e completo: ecco la particolarità - anche tutto il resto, a partire dalle scritte a carattere rigoroso: quelle che indicano le due uscite «normali» due - una su via XXII Luglio e una nel cortile - quella «di fortuna» con i ferretti d'acciaio per salire in verticale e in fretta, alzando la griglia e ritrovandosi in borgo Regale, e poi i gabinetti separati uomini e donne. Ci sono le panche di legno dell'attesa. E lì, sui muri, originali pure le altre, di scritte: grafie sparse, certe o incerte, di chi ha trascorso ore lunghissime anche quando erano poche. Da Gina Azzolini, che compare due volte, a Bocchi Bruna che mise la data: 30-7-44. Da Schiaretti Sergio «rurale» 7-4-44 a un Broglia con l'indirizzo di casa, qualche civico più in là. Mancano i salumi, i formaggi, acqua e vino che il padrone di casa, Francesco Boselli, voleva pronte lì, per rendere più confortevole e umana la permanenza di chi accorreva dalla zona al primo suono macabro delle sirene.
«Io sono nato qui e da bambino non ci fai caso - racconta il nipote -: lo usavo per giocare a nascondino e per le avventure coi cugini». Con tutta la fantasia che poteva nascere da un rifugio segreto con ombre, buio, luci improvvise, paure da sfidare. Appartiene anche alla loro infanzia qualche scritta sui muri, sportiva o scherzosa. Di indelebile c'è invece quel racconto del nonno. «Era sfollato nella casa di Mamiano e un giorno di bombardamenti si sentì che anche il nostro palazzo era stato colpito. Corse in città in bici e la vide». Quell'ala di borgo Regale sbriciolata a terra.