L'ex azzurro si racconta
La «nuova vita» di Luca Vettori: «Le mie azioni governate dall'amore, voglio dare forma ad altri sogni».
Luca Vettori dice basta e volta pagina. Senza rimpianti, «perché la decisione è frutto di un ragionamento consapevole, ponderato e maturato nel tempo».
Certo, stupisce non poco che un pallavolista abbandoni l'attività agonistica a 32 anni appena compiuti, ancor più se questi – come nel caso dell'opposto parmigiano – è integro fisicamente e, in ragione delle sue qualità, può ancora tenere egregiamente il campo ai massimi livelli. Ma tant'è. «Qualche chiamata, nelle ultime settimane, l'ho ricevuta» confessa Vettori, che con la Nazionale azzurra ha conquistato anche una medaglia d'argento alle Olimpiadi di Rio 2016, senza contare gli altri trofei collocati in bacheca con Piacenza, Modena e Trento. «La possibilità di giocare c'era ancora – chiarisce -: magari non in squadre di primissima fascia, ma pur sempre in Superlega».
E allora, perché ha scelto di ritirarsi?
«Era arrivato il momento di dare forma a nuovi sogni: certe cose non possono aspettare. L'ho capito dopo le ultime due esperienze vissute all'estero: a Shanghai, in Cina, dove non ho potuto nemmeno esordire in campionato, sospeso a causa dell'emergenza sanitaria, e l'anno scorso a Narbonne in Francia. Per carità: bel posto, un torneo competitivo. Ma la lontananza da casa ha suscitato in me una profonda riflessione in prospettiva: ho ripensato alla mia carriera pallavolistica, mi sono guardato dentro, concentrandomi su quello che poteva essere il dopo».
Si riferisce alla ricerca di un progetto di vita?
«Esattamente. Vede, quando da atleta hai avuto il privilegio di vivere, per così tanti anni, una carriera professionistica ad alti livelli, è naturale che il pensiero di dover smettere possa spaventare. Io, però, avevo già costruito qualcosa: le reti e i contatti creati nel tempo rappresentano, oggi, una solida base in grado di far germogliare le mie intenzioni, i desideri e le ambizioni al di fuori dell'ambito sportivo».
Significa che si dedicherà completamente ad altro che non sia la pallavolo?
«Non ho detto questo. Non voglio certo escludere lo sport dalla mia vita. Anzi, spero di poter rimanere legato alla pallavolo restituendo, attraverso forme e modalità diverse, parte di ciò che questa disciplina mi ha donato».
Cosa le ha insegnato lo sport?
«A ragionare in un contesto di squadra, a mettersi nei panni dell'altro, a tenere le antenne costantemente dritte, a gestire le emozioni. E poi a confrontarmi, a dialogare con i giovani, trasferendo loro quei valori che io stesso avevo appreso, andando oltre la dimensione sportiva».
E guardando alla sua carriera, invece, qual è il ricordo più bello?
«Dire la medaglia olimpica è fin troppo scontato. Ma a quel traguardo sono arrivato dopo un percorso culminato l'anno prima a Modena con il Triplete (scudetto, Coppa Italia e Supercoppa italiana, ndr) che ha rappresentato il trampolino di lancio. In mezzo, è chiaro, ci sono anche obiettivi sfumati. Ma il valore attribuito a ciò che si è conquistato risulta superiore se pensi agli occhi del ragazzino che eri all'inizio di questa avventura. Un ragazzino che si affacciava sulla scena con il suo carico di sogni, speranze. E che non avrebbe immaginato di poter ottenere ciò che poi è arrivato».
C'è qualcuno cui si sente di dire grazie, per tutto questo?
«Allenatori, dirigenti, compagni, famiglia: la riconoscenza è verso tutti quelli che sono stati al mio fianco. Ma se devo proprio scegliere una persona, dico Angelo Lorenzetti: un allenatore che ha sempre creduto in me, con il quale ho condiviso gli anni più belli della mia carriera, tra Modena e Trento».
Da domani, allora, cosa farà Luca Vettori?
«In realtà ho già cominciato a fare. Insieme a due amiche parmigiane, Martina e Laura, abbiamo costruito un progetto, Toboga Festival, finanziato dalla call ThinkBig di Fondazione Cariparma. È un'idea che coniuga arte e sostenibilità ambientale, sviluppata attraverso il linguaggio dei manifesti pubblici, affissi nel nostro territorio tra agosto e settembre, e dedicati allo stato di fiumi, all'emergenza idrica, alla siccità».
Tempo fa avevamo parlato di Brodo di Becchi, la web radio da lei lanciata insieme a un altro pallavolista, il suo amico Matteo Piano: avevate realizzato anche un reportage in Africa. Come procede?
«Dalla web radio, Brodo di Becchi si è evoluta in una società vera e propria: produciamo oggetti all'interno di laboratori artigianali. E l'attenzione verso le popolazioni africane, all'insegna della solidarietà, resta centrale. Avendo ora più tempo libero, anche in questo ambito avrò la possibilità di arricchire e strutturare meglio attività e contenuti».
Del suo post di addio alla pallavolo mi ha colpito un passaggio: raccontata di una variazione apportata all'inno di Mameli, cantato prima delle partite...
«Una sorta di gioco, fatto tra me e me, senza nulla togliere all'inno di Mameli, che è bellissimo. Nell'ultima strofa, facevo cadere una t: “Siam pronti alla morte” diventava così “Siam pronti all'amore”. L'ho sempre considerato di buon auspicio: per la partita che stava per iniziare e, in generale, per tutte le azioni della vita. Che per me devono essere governate dall'idea di amore».