Cinema
Venezia al via: Favino «Comandante» della pattuglia italiana
DAL NOSTRO INVIATO
Filiberto Molossi
VENEZIA- Ottanta voglia di te: Venezia fa cifra tonda e si mette in Mostra. Senza paura di esagerare. Sei i film italiani in concorso (l'ultima volta era il '68, spirava aria di rivoluzione e c'era anche «Partner» di Bertolucci...) nella grande kermesse che alza il sipario stasera, tra la spada di Damocle dello sciopero di attori e C a Hollywood (e più di un divo costretto al forfait) e una rinnovata cinema-mania che investe anche il Belpaese grazie a titoli come «Oppenheimer» e «Barbie» che da soli in Italia hanno riportato al cinema qualcosa come 5 milioni di persone.
Italiani veri
Il primo colpo lo spara – mettendo nel bersaglio orgoglio ed emozione - «Comandante» di Edoardo De Angelis, portando idealmente in Laguna un sommergibile che ha navigato nei mari della Storia. Una vicenda realmente accaduta durante la Seconda guerra mondiale che vede Pierfancesco Favino nei panni di Salvatore Todaro, militare italiano capace di affondare una nave nemica per poi salvare, a rischio della sua stessa vita, tutti i suoi occupanti. Gli fa da controcampo, sul filo della metafora, «Io Capitano», l'odissea di due ragazzi che partono dal Senegal nel tentativo di approdare in Europa, uno dei film più attesi dell'intera Mostra: il nuovo, attualissimo, viaggio di Matteo Garrone, che domenica 10 settembre presenterà il film all'Astra insieme agli interpreti. Si torna invece indietro nel tempo con «Lubo» dell'emiliano Giorgio Diritti, storia della vendetta di un nomade artista a cui nel '39 vengono strappati i figli, e con «Finalmente l'alba», ambizioso progetto da 28 milioni di euro di Saverio Costanzo, una sorta di onirico viaggio iniziatico di un'aspirante attrice in una Cinecittà che richiama un coté anni '50. In gara poi anche «Adagio» di Stefano Sollima, che torna in Italia con la storia di un adolescente che resta invischiato in un gioco molto più grande di lui (cast notevole: Servillo, Favino, Mastandrea...) e il rischiosissimo «Enea» di Pietro Castellitto, ritratto nichilista di un'epoca decadente: la nostra.
La grande gara
Sei italiani in concorso alzano la possibilità di un premio? Percentualmente sì. Ma occhio perché il presidente di giuria – Damien Chazelle - è giovane e imprevedibile e tra gli altri 17 in concorso ci sono alcuni dei film più attesi della stagione. Per dirla alla Rino Tommasi sul mio personalissimo taccuino finiscono sicuramente «El Conde», dove Pablo Larrain con geniale visionarietà trasforma Pinochet in un vampiro, «The killer» con la combo Fincher/Fassbender, «Povere creature!» del greco Lanthimos che rilegge al femminile il mito di Frankenstein, «Priscilla», l'«Elvis» visto da lei della Coppola e naturalmente due colossi come «Maestro», biopic di Leonard Bernstein di e con Bradley Cooper (già in pole position, Nolan permettendo, per gli Oscar) e «Ferrari», che un regista straordinario come Michael Mann dedica al leggendario patron del cavallino. Così come non si possono non aspettare a braccia aperte l'ultimo film di Brizè («Hors saisons»), uno che ne sbaglia pochi, e «Il male non esiste» del premio Oscar (per il denso e ispitìratissimo «Drive my car») Hamaguchi con riflessi ambientalisti. Se Besson e soprattutto Bonello, Franco e la Holland rappresentano gli eterni outsider (ma di qualità), occhio alla folta pattuglia degli autori meno glam (vedi Ava DuVernay, prima afroamericana in concorso a Venezia) che potrebbero - come spesso accade - mettere in gabbia il Leone.
Woody e gli altri
D'accordo la gara, ma come sempre fuori concorso passa il mondo. Non fa eccezione nemmeno questa ottantesima edizione che schiera Woody Allen, ma pure la Cavani Leone alla carriera, il film postumo di Friedkin e il sempre interessante Linklater, un iconico veterano come Polanski e pure due matti tipo Dupieux e Korine. Guardandosi in giri poi c'è la serie di Giannoli con Lindon, «D'argent e de sang», il debutto di Micaela Ramazzotti da regista, le Giornate degli autori e la Settimana della critica. «Quanti film vedi?» è la domanda che ti fanno sempre. «Tanti» l'unica risposta giusta.