Ex di Parma e Catanzaro
Benedetto: «Crociati, serve più personalità»
Prima di Francesco Corapi c'è stato solo un altro giocatore che ha indossato la fascia da capitano sia nel Catanzaro che nel Parma, le due avversarie nel big match di domenica al Ceravolo. E' Michele Benedetto, che in Calabria ha giocato tre stagioni tra il 1969 e il '72 e che da lì si trasferì al Parma dove rimase altre cinque stagioni, chiudendovi la carriera nel '77 a 36 anni. Benedetto a Catanzaro centrò una promozione dalla B alla A e al Parma un altro salto, dalla C alla B nel '73 dopo il primo spareggio di Vicenza, quello con la Triestina.
«A dir la verità - racconta lo stesso Benedetto - ho conquistato promozioni anche con le altre due squadre in cui ho giocato in carriera: a Carrara passammo dalla quarta serie alla C e ad Arezzo dalla C alla B».
Una carriera che tra l'altro era iniziata col botto. Vittoria al Torneo di Viareggio e premio come miglior calciatore...
«Sì, era il '61 e io miltavo nella Juventus, nelle cui file ero cresciuto Quello fu il primo Viareggio vinto dal club bianconero e con me giocava gente come Leoncini e Bercellino che poi finirono in prima squadra. Quell'anno vincemmo anche il Trofeo De Martino, un po' lo scudetto Primavera, battendo in finale il Milan di Trapattoni e Salvadore».
A Catanzaro come si stava cinquant'anni fa?
«Io devo dire di essermi trovato benissimo. Vivevo a Catanzaro Lido, a pochi passi dal mare, la squadra era forte, la gente entusiasta. Insomma, una bella esperienza. E ho lasciato anche un buon ricordo se è vero che ancora mi chiamano giornali e televisioni locali ricordandosi di me».
Ci fu anche un evento storico...
«Fummo invitati a New York a disputare un'amichevole contro il Santos di Pelè. Mi trovai insomma a fronteggiare O'Rey. Indimenticabile».
Nel Parma invece il ricordo più bello resta la promozione?
«Certamente sì, oltre al rapporto di stima e amicizia che mi legava a compagni come Carlo Volpi, Giulio Sega e Fausto Daolio. Tre calciatori e uomini splendidi, gente che in campo sapeva sempre cosa fare e come farlo. Il calcio non aveva segreti per loro. Anzi, dirò di più: se il mio ex compagno Leoncini non avesse rotto tibia e perone a Sega in Parma-Atalanta nel gennaio del '74, in quella stagione avremmo potuto, da matricola, puntare alla serie A, che Parma invece dovette aspettare per altri 16 anni».
E il Parma di oggi ci può ritornare in serie A?
Mi pare cresciuto, e mi fa piacere che si pensi a un nuovo stadio, a una struttura moderna e confortevole. Devo però dire che avendo seguito l'ultimo derby in televisione, ho ricavato l'impressione che al Parma manchi un po' di leadership in campo. Scarseggiano giocatori che con la voce ma soprattutto con l'esempio del comportamento sappiano trascinare la squadra, contagiare i compagni con l'intensità agonistica necessaria a vincere certe partite. Direi che poi per la promozione sarà fondamentale l'esplosione di un attaccante. Bonny mi pare stia imparando a usare il suo ottimo fisico: chissà non possa essere lui il mattatore quest'anno».
Paolo Grossi