Il silos sotterraneo della stazione

Viaggio nel parcheggio della paura

Luca Pelagatti

Basta solo un'occhiata, tardare appena a distogliere lo sguardo e scatta il ringhio: «Cazzo vuoi? Hai dei problemi?».

Ovviamente no, meglio evitare i guai, abbassare gli occhi, accelerare il passo. Perché è chiaro che da quel tale, torso nudo e pelle olivastra, accento del Maghreb e tanfo acido che arriva lontano, è meglio stare alla larga. Anche se qui non siamo nel cuore della notte in qualche disperata periferia metropolitana ma a mezzogiorno e mezza nel corridoio che dal piano -2 della stazione porta alla pensilina dei bus e al parcheggio. Di qui passano gli studenti che vanno a prendere la corriera, i viaggiatori che hanno lasciato l'auto nel silos sotterraneo e anche quelli come il litigioso soggetto a torso nudo. I primi scorrono e vanno mentre lui, e tanti come lui, qui ci dormono, si sfondano di polverine, la usano come latrina. Insomma, ci vivono.

Che le stazioni, in ogni latitudine, siano calamite per vite raminghe e sospese è un'ovvietà. Ma quella di Parma, da parecchio tempo, attrae con più forza. E chi la frequenta per necessità parla ormai di «paura quotidiana».

«Quando smontiamo dal turno la sera o peggio la notte non possiamo andare a riprendere la macchina da sole, dobbiamo sempre farci accompagnare dai vigilanti - spiega una dipendente di Trenitalia. – Ma di giorno la situazione non è certo migliore». Non esagera: ciò che si vede anche all'ora di pranzo è sconcertante. Il primo senso a venire ferito è l'olfatto: appena si lascia l'aria aperta e si entra nel parcheggio (un euro e 60 ogni ora, dalle 8 ore in poi 11 euro e 50 al giorno) si capisce che quello non è spazio destinato alle auto. Ma una tana per la disperazione. L'odore di urina prende alla gola e subito si incontra chi qui tira a campare: sotto un sudario di lana un uomo dorme con a fianco bottiglie di vino ormai svuotate e resti di cibo e cartacce. Lo sguardo smarrito di una famiglia di tedeschi appena scesa dall'auto racconta senza bisogno di parole l'impressione che si prova. Pochi metri più in là, tre persone sono sedute in terra, in cerchio: sono due uomini e una donna, stanno fumando il crack dalle bottigliette di plastica trasformate in pipette, non fanno neppure finta di nascondersi. Le macchine li sfiorano e loro fumano e sbraitano senza ascoltarsi.

Negli angoli, ovunque, i segni dell'incessante consumo di droga con i pezzetti di stagnola sparsi come fossero coriandoli e poi altri oggetti, non a caso, nascosti tra inferriate e cestini: un paio di forbici, un grosso cacciavite, gli strumenti del mestiere per forzare le porte e provare a arraffare qualcosa nelle auto in sosta. All'estremità del parcheggio, poi, delle porte dovrebbero portare al piano -2 che però, da tempo, è chiuso. «Impossibile garantire l'ordine pubblico» si disse nel 2020 quando l'intero parcheggio venne sigillato. Il primo piano, nel frattempo, è stato riaperto mentre l'altro è ancora blindato ma dietro le inferriate avvolte di catene e lucchetti si notano le solite bottiglie, sigarette, carte e altri scarti di vita a riprova che c'è chi ha trovato il modo per scendere ancora più giù per nascondersi.

«Ieri mattina quando sono arrivato c'erano almeno dieci persone tra quelle che dormivano e quelli che si stavano facendo», spiega un altro viaggiatore che spesso parcheggia qui. «Ma mai di sera, è ovvio».

Già, col buio meglio evitare anche se il timore non guarda l'orologio: «Ogni volta ti chiedono soldi, sigarette ma non è quello il problema. E che quando sono sballati spesso diventano aggressivi, urlano, minacciano se gli dici di no», rincara la dose un altro automobilista che conclude: «La macchina qui la metto solo se proprio devo». Altrimenti, è ovvio, si va altrove mentre il viavai dei soliti disperati prosegue senza sosta. Uno, vedendo una faccia nuova, tentenna un po' e poi biascica un «Hai mica una sigaretta?» ma la risposta è negativa. Allora si guarda in giro, raccatta da terra un mozzicone e si incammina verso un angolo borbottando. Con dieci euro ci si fa una dose. Al resto penseremo poi.

Luca Pelagatti