VERSO LA BEATIFICAZIONE
Il cardiochirurgo Rastelli nel ricordo del collega Squarcia
Ho avuto la ventura, la fortuna, la Grazia di conoscere il dottor Giancarlo Rastelli quando facevo gli ultimi anni della facoltà di Medicina. Lui era assistente universitario in Clinica Chirurgica e ci faceva le esercitazioni.
Quando poi ritornava dagli Stati Uniti dove era andato con una borsa di studio Nato ci siamo incontrati di nuovo.
A Rochester poi alla Mayo Clinic, dove l’avevo seguito, abbiamo lavorato insieme gli ultimi 18 mesi della sua vita. E abbiamo condiviso l’esperienza di lavorare insieme in una Istituzione, la Mayo Clinic, unica al mondo, dove il motto era ed è «The patient comes first». Fino alle prime luci del 2 Febbraio 1970 in una stanza del Methodist Hospital di Rochester, Minnesota Usa.
Sono stati i mesi e gli anni dei suoi grandi successi scientifici. Il lavoro sulla Classificazione del canale atrioventricolare, una cardiopatia complessa che riguarda il centro del cuore, la crux cordis, la zona di incontro dei setti con le valvole atrio ventricolari. La classificazione adottata ancora oggi in tutto il mondo dettava in sé le linee di intervento correttivo della lesione ed ha cambiato la storia di questa cardiopatia. E poi la sperimentazione su animali e in seguito l’intervento con successo sul bambino di una operazione chirurgica correttiva (e non solo semplicemente palliativa) su una cardiopatia cianogena complessa, la trasposizione dei grandi vasi con difetto ventricolare e stenosi polmonare.
Sarà l’intervento di Rastelli che viene eseguito in tutti i maggiori centri del mondo e che ha cambiato il destino di innumerevoli bambini cardiopatici. E delle loro famiglie.
Sono stati gli anni dei successi, ma anche della malattia che Gian ha combattuto per 5 anni fino a quel mattino del 2 febbraio.
Da allora tante volte mi sono domandato, come tanti altri, come ad esempio gli studenti della facoltà di Medicina di Bologna che hanno «scoperto» Gian, hanno scritto un libro con la sua storia e hanno preparato una mostra itinerante sulla sua vita e le sue scoperte che gira per le facoltà mediche italiane, mi sono domandato quale è il segreto del suo fascino, dello speciale carisma che attira e affascina tanti giovani che capita vengano a conoscere la sua figura e la sua storia. Certamente le qualità naturali di cui Gian era dotato (l’aspetto fisico, l’intelligenza, la comunicativa, la simpatia, lo humour ecc. ). E poi la figura di scienziato, i successi delle ricerche compiute in un breve arco di tempo (aveva 36 anni il 2 febbraio del 1970) gli ultimi anni mentre combatteva una battaglia contro una malattia fatale.
Ma il segreto più intimo della sua esistenza, del suo carisma, della sua «santità» è stata per me personalmente la coerenza e la fedeltà di tutta la sua vita al fine che Gian aveva intuito era la sua missione nella vita, la ricerca.
La ricerca come atto di carità suprema verso il prossimo, verso il malato.
In una lettera a un suo collega ed amico (Tiberio D’Aloia ) il 14 marzo 1961 così Gian scriveva «ho sempre pensato che la prima carità che il malato deve avere dal medico è la carità della scienza. Senza di questa è inutile parlare delle altre carità» .
Quando era ancora studente aveva scritto «fermare la ricerca vuol dire fermare la vita».
Gian aveva fatto gli studi classici al ginnasio-liceo Romagnosi ed aveva una profonda cultura classica e umanistica. E anche musicale. Probabilmente aveva letto e conosceva l’«Apologia di Socrate» e le parole che Platone mette in bocca al suo maestro «Una vita senza ricerca non merita di essere vissuta».
Gian ha vissuto per la ricerca declinando la frase di Platone in maniera cristiana, la ricerca come prima carità verso l’uomo, verso il malato.
Gian ha praticato la Carità in varie forme e modi, rispondendo alla sua innata attitudine e agli insegnamenti evangelici della sua formazione cristiana.
Ne ricordo alcuni di cui sono a conoscenza. Come altri congregati mariani di San Rocco per esempio anche lui alla Domenica era solito andare a prendere un giovane del riformatorio dei Lambruschini e portarlo con la sua Lambretta in giro per la città. E dimostrargli la sua vicinanza e la sua amicizia .
Quando studiava con il suo compagno di medicina Angelo Landini qualche volta si fermava e declamava l’Inno alla carità della Lettera ai Corinzi di San Paolo e metteva il luce con grande fervore e convinzione il primato della Carità sulle altre virtù umane e cristiane.
Oppure quando andando all’Ospedale a piedi da Piazza Garibaldi con un altro suo compagno di studi, Antonio Gambara, talvolta chiedeva: «Diciamo insieme il rosario?».
Quando tornava a Parma dalla Mayo e i suoi colleghi gli portavano bambini e pazienti adulti da visitare tutte le sue visite erano rigorosamente gratuite: «Il denaro non lo conosceva» (Tiberio D’Aloia ).
Vari bambini cardiopatici provenienti dall’Italia di famiglie bisognose sono stati ospitati in casa da Gian a Rochester e dalla sua famiglia.
Per il senso innato della giustizia che aveva era molto critico del sistema baronale che vigeva allora nelle Università italiane.
A causa di quelle logiche, Gian ha avuto molto da soffrire anche quando si trovava lontano.
«Non era un baciapile, ma una persona che il Vangelo lo viveva nella quotidianità» (Tiberio D’Aloia ).
Aveva una visione gioiosa della vita e della fede e con la sorella Rosangela si chiedeva se anche Dio ridesse.
Giancarlo Rastelli ha vissuto da laico una vita per la ricerca. Per la ricerca con il fine di aiutare i malati, specialmente i bambini nati con cardiopatie congenite.
Ha capito fin da giovane che questa era la sua Missione e a questa ha dedicato tutti i suoi talenti, negli ultimi anni combattendo contro un male fatale. Senza risparmiarsi, con integrità e fedeltà. Negli ultimi tempi con eroismo.
Ha vissuto anche all’apice dei successi scientifici e delle posizioni di prestigio che aveva raggiunto sapendo, e scrivendo alla sorella Rosangela, che «sapere senza saper amare è nulla, è meno di nulla».
Facendo eco alle parole di San Paolo ai Corinzi che declamava al suo amico Angelo Landini , Angiolo come lui lo chiamava , nei pomeriggi di studio per gli esami di medicina.
È stato un laico che ha vissuto la Missione della sua vita, la Ricerca, come atto di Carità verso il malato, con fedeltà assoluta.
Questa è la ragione del fascino che la sua figura esercita su tanti giovani studenti, specializzandi, ricercatori che hanno la ventura di conoscere la sua storia. Questa è la ragione per la quale la figura di Gian è un esempio da presentare e far conoscere a tanti giovani che cercano la loro Missione nella vita. Anche e prima di tutti dalla Chiesa.
Umberto Squarcia