Il caso

Covid, licenziato il flautista «dissidente»

Roberto Longoni

Il flauto, fece appena in tempo a estrarlo dalla custodia. Ma soffiarci dentro gli fu impedito: allora e in seguito. Era il periodo in cui un colpo di tosse scatenava fuggi-fuggi: uno strumento a fiato poteva essere visto anche come una rampa di lancio per droplet circondati dalla presunta «coroncina» del Covid. Così per lui - riottoso al tampone - quel giorno al Regio le prove per «Pélleas et Mélisande» nemmeno cominciarono, mentre poco dopo sarebbe calato il sipario sulla sua intera carriera di orchestrale della Fondazione Toscanini durata 38 anni. Anche nei consolidati organici del mondo del lavoro, il coronavirus doveva mietere vittime collaterali: il sessantenne professore fu licenziato in tronco.

Era il marzo del 2021, la pandemia ancora lanciava i suoi acuti: anche in teatro. Più che dal direttore d’orchestra, i movimenti erano dettati dai decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Limitazioni, distanziamenti, vaccini. Al musicista, in vista delle prove per l’opera che sarebbe stata registrata dalla Rai (quindi con triplo grado di presidio sanitario), il 12 marzo del 2021 era stata consegnata a mano una raccomandata con la richiesta da parte delle risorse umane della Fondazione Toscanini di sottoporsi al test di controllo reso obbligatorio per le produzioni artistiche dal Dpcm di dieci giorni prima. Il flautista si disse pronto: ma per il test salivare, non per quello nasofaringeo. Troppo spesso, spiegò, aveva sofferto di epistassi fin da ragazzo.

Lo stesso giorno, così, gli fu recapitata una nuova missiva, con la quale gli si intimava di certificare l’impedimento. Seguì uno scambio di comunicazioni, fino a quando, il sabato successivo, la Fondazione annunciava al dipendente di essere dispensato dal servizio il 22, 23, 26 e 28 marzo, le date di produzione dell’opera. Una decisione conseguente alla «ribadita indisponibilità a sottoporsi a test di controllo per la rilevazione del contagio da Covid 19».

Non era che il primo atto. L’orchestrale, dicendo di non aver ricevuto risposta a una sua mail di chiarimenti, si presentò alla prima sessione di registrazione. Puntuale, se solo fosse stato atteso. Superato il termometro all’ingresso del Regio, si sedette, come previsto dalle norme anticontagio, a un metro e mezzo dai colleghi. Quando sopraggiunse il titolare del posto, ne trovò un altro, Ma prima che potesse abbassarsi la mascherina per suonare (arduo riuscirci tenendola sulla bocca) fu invitato ad alzarsi.

La mascherina, che secondo alcuni non sempre era stata indossata correttamente anche prima, sarebbe stata ancora più discostata durante le negoziazioni al telefono con la responsabile del personale. Alla fine, il professore fu allontanato e la prova cominciò senza di lui. E allo stesso modo proseguirono le seguenti. Intanto, ricevuta una contestazione disciplinare, il musicista chiese un’audizione difensiva, alla presenza di un rappresentante della Fistel Cisl, per chiarire la propria posizione. Ma il 9 aprile gli fu comunicato il licenziamento per giusta causa. Sanzione impugnata una decina di giorni dopo dal diretto interessato. Così, si è finiti davanti alla sezione lavoro del Tribunale di Parma. Il flautista innanzitutto chiedeva di essere reintegrato o comunque risarcito. Il giudice ha invece dato ragione alla Fondazione, sottolineando come il test salivare da lui proposto non fosse considerato attendibile dalla scienza. Inoltre, è stata ricordata l’opposizione dell’orchestrale anche al test sierologico rapido (il pungidito) questa volta ritenuto inaffidabile da lui. Insomma, un muro contro muro. La difesa dell’orchestrale ha sottolineato come la contestazione disciplinare fosse legata all’insubordinazione, mentre il licenziamento vero e proprio all’aver posto in pericolo l’incolumità delle persone. Ragioni insufficienti per il giudice. L’orchestrale, che non si è visto né reintegrare né risarcire, dovrà corrispondere alla Fondazione 4mila euro di spese di lite, a meno che non faccia opposizione. Un altro atto sembra previsto per il «Flauto dissidente».