Psicanalisi
Massimo Recalcati spiega i tre modi per affrontare un «lutto»
Ci sono tre vie per affrontare un lutto: la via melanconica, la via maniacale, la via della separazione. La teoria le distingue ben bene, nelle nostre vite si intrecciano, si contaminano. Affrontare un lutto (anche inteso come una perdita in senso più ampio, un amore che finisce, un amico che tradisce) è un lavoro: richiede tempo, sofferenza e fatica. Lo ha spiegato con parole chiare ed esempi puntuali lo psicanalista Massimo Recalcati: «Il lavoro del lutto», “lectio magistralis” da tutto esaurito, ieri mattina al cinema Astra di Parma, appuntamento di «Anima» - Festival «Il rumore del lutto».
Parte da un presupposto: nella forma umana della vita, a differenza di quella vegetale o animale, la morte è sempre prematura, a qualsiasi età. «Non siamo fatti per morire, come diceva Hannah Arendt - ragiona Recalcati - Siamo fatti per nascere e rinascere innumerevoli volte. La vita è fatta di nascite e resurrezioni. Non siamo come la foglia, la formica o l’ape. La spiegazione sta in una frase diventata comune che si trova nel Libro Qoelet, o Ecclesiaste, della Bibbia: tutti noi abbiamo i giorni contati. Noi contiamo i giorni. Allora cominciamo a morire dalla nascita».
Ecco che il «lutto» è la reazione emotiva alla perdita. Ma quale perdita? «La perdita che si “scava” in due luoghi sovrapposti - spiega Recalcati - Una perdita reale nel mondo, un buco che si apre. Ma un altro buco si apre sincronicamente nel nostro cuore. Questi due vuoti risuonano uno dell’altro». Come reagire al «lutto»? «Se leggiamo Freud - spiega il relatore - si aprono tre destini possibili: quello melanconico, quello maniacale e quello di separazione». Fa degli esempi Recalcati. Il destino melanconico è quello della regina Vittoria che, rimasta vedova 40enne, mette in atto il rituale di far preparare i vestiti del principe sul letto ogni giorno: «è l'immobilizzazione del tempo, il soggetto si blocca e resta aspirato dall’oggetto perduto fino spesso a “diventare” l’oggetto perduto. Una dimensione depressiva accompagna questa “pietrificazione”». Il secondo destino è quello maniacale, all'opposto. «Il soggetto - spiega lo studioso - non sente niente, anzi sostituisce immediatamente la perdita. Non c’è il dramma della perdita, c’è una otturazione. La società dei consumi è una società maniacale perché riempie il vuoto con gli oggetti».
Il terzo destino è una alternativa: «il lavoro del lutto c'è quando non c’è né malinconia né mania» prosegue Recalcati che qui si avvale dello «Zarathustra» di Nietzsche. Zarathustra si trova al cospetto di uno spettacolo circense, c'è un funambolo, emblema della condizione umana sempre in bilico. Il funambolo cade e si sfracella. Zarathustra sconvolto se lo carica sulle spalle e comincia a camminare nel bosco. «Il lavoro del lutto - riassume lo psicanalista - è un cammino nel fitto del bosco. A un certo punto, Zarathustra si rende conto che non può farcela e dà sepoltura al cadavere nella cavità di un albero. Il lavoro del lutto è la trasformazione del “peso” in linfa».
Una “lectio” di parole “lievi”, con esempi clinici, salutata da partecipati applausi. Tra i consigli di lettura, Recalcati, al di là dei propri libri, indica C.S. Lewis «Diario di un dolore» (Adelphi), Roland Barthes «Dove lei non è» (Einaudi), Simone de Beauvoir «Una morte dolcissima» (Einaudi).
L'appuntamento si era aperto con i saluti di Maria Angela Gelati e Marco Pipitone che firmano la direzione artistica del Festival: appuntamenti fino al 25 novembre, in un cartellone mai banale; tra i prossimi eventi sabato 28 ottobre alle 21 al Regio «Eri con me», Alice canta Battiato.
Mara Pedrabissi