Eletta presidente della Siaarti
Anestesia e Rianimazione, plebiscito per Elena Bignami
«Ovunque mi giri, sono un po’ un panda», ride Elena Bignami, direttrice della 2° Anestesia e rianimazione e terapia antalgica del Maggiore. All’orgoglio di essere il più giovane professore ordinario d'Italia nella sua specializzazione, si è appena aggiunto quello di prima under 50 – di anni ne ha 48 – alla presidenza della Siiarti, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva.
Primato nel primato: nei quasi 100 anni dell’associazione, Parma non aveva mai avuto questa responsabilità. «E riportare qui qualcosa di positivo – dice - è un sogno». Il riferimento è chiaro e delicato: è arrivata a Parma dal «San Raffaele» di Milano nel 2017, dopo aver vinto il concorso indetto in seguito allo scandalo Pasimafi e trovandosi a dirigere un reparto profondamente scosso, incredulo. Difficile per tutti scrollarsi di dosso quello choc. Lei ci ha messo passione e energia e i frutti li ha raccolti lungo il cammino e anche sabato: in quel «sostegno da stadio» - lo definisce così - con cui colleghi e specializzandi arrivati da Parma hanno accompagnato la sua elezione.
A qualche ora di distanza l’emozione non è scomparsa, è palpabilissima. «E spero che sia un’emozione creativa». Dire che se lo aspettasse è troppo, «ma sentivo che era una cosa possibile, il momento giusto per un cambiamento grazie all’appoggio di molti soci. Di solito si eleggono uomini a fine carriera – racconta -. Di certo non mi aspettavo tutto l’affetto e quella quantità di voci e di partecipazione. E quell’82% di preferenze. Sarò transitoriamente (per il triennio 2024-2027, ndr.) alla testa di persone che vogliono qualcuno che guidi la Società in modo costante e nuovo».
Da tradizione la missione è il rafforzamento costante del connubio tra attività clinica e ricerca per migliorare le linee guida e i protocolli terapeutici, permettendo e facilitando il confronto e la discussione tra migliaia di Anestesisti-Rianimatori e contribuendo alla crescita nelle più diverse aree culturali che caratterizzano una professione complessa, affascinante e carica di responsabilità. Il «nuovo» che vorrebbe portare è «aprirsi molto di più all'internazionalizzazione, aumentando la collaborazione con le altre Società europee e d’Oltreoceano, e puntare sull’inclusività, dialogando con le società scientifiche di altre specialità».
E poi c’è il grosso capitolo dell’innovazione tecnologica, di cui è grande esperta e che l'ha portata a dirigere «Agata», un gruppo di ricerca e divulgazione sulla Intelligenza artificiale in anestesia e rianimazione. «Grazie alla telemedicina riusciamo a dare contributi a distanza, e l'AI ci aiuta e ci aiuterà sempre di più a studiare meglio il paziente, a far meglio l'anestesia e la terapia del dolore, ad esempio “leggendo” le espressioni facciali. Ma anche a velocizzare tante pratiche con l'obbiettivo di ridurre le liste d'attesa».
È quello che sta già portando avanti anche nel suo reparto: «Parma oggi è invitata a organizzare il prossimo marzo a Singapore il congresso internazionale sull'Intelligenza artificiale in rianimazione: è segno di alta considerazione e per me un grande orgoglio. Può apparire - dice - un ambito lontano dalle persone ma se riusciamo a evitare che un intervento salti, a controllare dolore, nausea e vomito nel post operatorio e andare verso una dimissione più precoce e sicura, è un grande passo avanti per i pazienti. Ancora di più proseguendo nella collaborazione con la Società di telemedicina per aumentare l'efficacia nel percorso col territorio».
E a proposito di territorio, in quello che l'ha adottata si è trovata nell'occhio del ciclone di una pandemia inedita in cui ci si è misurati minuto dopo minuto con tutte le sfumature del dolore. A fare esercizio di speranza, a cercare tenacemente cure e sollievi, a essere gli unici occhi e le uniche mani a posarsi su quelli dei pazienti.
«Fuori dalla mia porta ci sono le pareti ancora piene di foto di quei giorni e di quelle notti: noi con le tute di protezione, noi nei reparti, noi durante una pausa per tirare il fiato. La teniamo volentieri, quella memoria, e non ci dimentichiamo la sofferenza dei nostri malati. Nell’impotenza di quei momenti abbiamo cercato di studiare, imparare molto e il più in fretta impossibile. Quell'esperienza ci ha uniti tantissimo nel sentirci una squadra e nell'avere un obiettivo comune: migliorare, sempre».
Chiara Cacciani