MEDICO LEGALE
Rossana Cecchi: «Il femminicida? Mira al volto, vuole cancellare l'identità»
Oltre a una salda presa di coscienza comune, serve la parola. Come quella che, nelle sue lezioni, al sostantivo amore le fa sostituire la formula “relazione tossica”. «Ho la fortuna e il privilegio di insegnare una materia che tocca termini molto sensibili. E le nuove generazioni sono molto ricettive». Rossana Cecchi dirige l’Istituto di medicina legale di Modena, dopo avere ricoperto lo stesso incarico a Parma, dove ancora insegna. Impegnata in uno studio sul femminicidio - condiviso con diversi istituti di medicina legale italiani e sostenuto dalla Società italiana di medicina legale -, del cui direttivo fa parte, la professoressa denuncia una lacuna pesante soprattutto per gli studi statistici. Che cos’è un femminicidio? ll neologismo affolla tristemente cronaca e lessico, ma il suo significato è ancora vago. Questo fa sì che l'analisi della piaga - di certo non nuova, ma sempre più messa a fuoco - ne risenta, con ripercussioni anche sulla sua prevenzione oltre che sulla repressione.
«Un'analisi dei siti ufficiali delle Nazioni Unite, dell'Organizzazione mondiale della sanità e del Consiglio d’Europa rivela l'assenza di una definizione chiara di tale fenomeno, considerato, di norma, come la forma estrema di violenza contro le donne - sottolinea la docente -. Le legislazioni nazionali, a loro volta, mancano spesso di un focus specifico su questo evento criminoso». Quando si può parlare di femminicidio per la medicina legale? «Quando la vittima abbia manifestato volontà di separarsi dal partner, rifiutato relazioni affettivo-sessuali o matrimoni combinati, rivendicato il proprio diritto a lavorare, studiare, vestirsi in un determinato modo, in altri termini ad esprimere la propria personalità in piena libertà. In questo modo, al gruppo dei femminicidi non sfuggiranno i casi in cui l’omicida sia il padre, un parente, il compagno, il cliente di una prostituta, un conoscente…». Si potrebbe dire che il femminicidio corrisponde al delitto perpetrato in seguito al mancato riconoscimento del diritto all’autodeterminazione della donna.
Oltre che ai centri antiviolenza impegnati nella prevenzione del fenomeno, la medicina legale vuole fornire strumenti al legislatore. «Analizzando 1100 femminicidi – spiega la docente – sono stati finalmente applicati parametri condivisi su aspetti come l'analisi del movente, della relazione vittima-carnefice, delle zone anatomiche coinvolte nelle lesioni e il numero di lesioni, dei mezzi lesivi utilizzati, del meccanismo lesivo e del luogo in cui l'omicidio si è verificato». Molto era stato fatto dal punto di vista psicologico, sociologico, statistico e criminologico: ma nessuno finora si era impegnato in un lavoro di squadra come questo.
Esistono modalità ricorrenti nei femminicidi. «Al contrario degli omicidi generici di donne, si osserva un'aggressività mirata prevalentemente al volto, quasi a voler cancellare l'identità della vittima, alla bocca e al cavo orale, come per privarla della parola, al collo, a simboleggiare la supremazia del carnefice sulla fragilità della vittima, e alla regione mammaria e al pube. Il pube, di solito risparmiato negli omicidi generici di donna, è un chiaro bersaglio simbolico di un’aggressione alla sessualità della vittima. E’ evidente inoltre l'overkilling, in cui i colpi inflitti superano numericamente quelli sufficienti a procurare la morte. Questi elementi delineano un quadro di intensa carnalità nell'atto omicida, che ben si concilia con il senso di potere che il carnefice si arroga».
A una figlia che cosa raccomanderebbe? «Quando qualcosa che lui ti fa o ti dice ti fa sentire una reazione sgradevole nello stomaco, tienilo presente. Dobbiamo imparare a riconoscere i segnali». Quanto è importante il ruolo della famiglia? «Io ho due figli maschi, e fin da quando erano piccoli ho cercato di farli avvicinare all’amore nei tempi giusti, assaporando ogni progresso. Il ruolo della famiglia è fondamentale ed è fondamentale che ci sia rispetto tra l’uomo e la donna: solo con l’esempio si educano i ragazzi».
E la scuola? «Non può sopperire alla mancanza della famiglia, ma è comunque strategica, specie tra la quinta elementare e la prima media. La didattica più efficace è quella basata sulla testimonianza. Raccomanderei la proiezione di un film come quello di Paola Cortellesi seguita da un dibattito».
Roberto Longoni