La Domenica
«La mia Habana» di Davide Barilli
Si può viaggiare per anni (con caparbia coazione a ripetere) nello stesso luogo, geograficamente lontanissimo, per ritrovarvi i cambiamenti lasciati dal tempo. Un atto di perdita e di crescita al medesimo tempo che, nel caso di Cuba può diventare – come un cannocchiale capovolto che avvicina le cose allontanandosi dalle stesse – il viaggio in una città, La Habana; anzi, in un suo barrio (quartiere), il più centrale del centro della città, ovvero Cayo Hueso, cuore del Centro Habana. Nel suo nuovo libro, intitolato Bestiario habanero (edito da Oligo nella raffinata collana Piccola biblioteca, fiore all’occhiello della casa editrice mantovana) Davide Barilli ha scelto di raccontare il suo punto di riferimento, appunto Cayo Hueso, il barrio più centrale di Centro Habana, avendo come guida ideale il suo rappresentante più famoso – lo scrittore Pedro Juan Gutiérrez, autore, alla fine degli anni Novanta, di romanzi simbolo come Triologia sporca dell’Havana o Il re dell’Havana – ovvero
quello che ne resta.
Barilli, per oltre trent’anni giornalista alla «Gazzetta di Parma»,
si trova attualmente a Cuba dove martedì presenterà il suo libro alla «Settimana della cultura di Trinidad» e successivamente parteciperà ad altre manifestazioni nell’ambito della trentaduesima edizione della «Feria internacional del libro
de La Habana».
Dunque, questo tuo ennesimo ritorno a Cuba è una sorta di approfondimento della ricerca di luoghi perduti che già avevi affrontato nel tuo precedente libro Cuba. Altravana uscito nel 2019?
«Non c’è dubbio che anche questo nuovo libro è un’immersione nella vita vera, quella che non si vede, quella che non si nota a prima vista, quella di una città che vive la propria quotidianità dietro a una cortina che la presenta da sempre come un archetipo ideologico o turistico in senso stretto, con tutte le retoriche del caso. Stavolta ho messo nel mirino le zone dove abito, durante i miei soggiorni cubani: Dragones, Los Sitios, Colon, Cayo Hueso, le barriadas (i quartieri) del Centro Habana: il mondo di Gutiérrez, gli stessi luoghi che frequento da oltre un trentennio, quelli che formano la mia Habana».
Una scelta, il ritornare – anno dopo anno – nello stesso quartiere, nella stessa casa di calle Infanta, che si può definire come un atto d’amore?
«Quello che ho provato a raccontare, con accanto idealmente la figura dello scrittore cubano Gutiérrez (una presenza reale e immaginaria al tempo stesso) diventa un percorso geografico e simbolico, una mappa personalissima e un viaggio intimo nel cuore di una città unica, residuale, inquieta, ferita e misteriosa, straordinaria come una logora reliquia dal destino incerto».
Composto da due parti: la prima dedicata al Bestiario avanero e la seconda ai luoghi di Pedro Juan Gutiérrez, il libro potrebbe essere definito un dittico cubano, vissuto lungo le strade del Centro Habana e di Cayo Hueso, il centro del centro, la zona più popolare e misteriosa della capitale del paese caraibico, che va a formare una geografia sentimentale e culturale in bilico tra realtà e finzione, tra autobiografia e mascheramento, in cui emerge l’anima del quartiere prediletto da te e dallo stesso Gutiérrez.
«La prima parte del dittico che dà l’avvio al libro è una caleidoscopica rete (o trappola) di incontri quotidiani con animali che fanno parte di un paesaggio urbano surreale, un bestiario anomalo, abitato da galline suicide o da teste di porco incastonate come inquietanti pietre miliari agli angoli delle strade. Mi sposto poi a Cojimar in cerca delle tracce del mitico pescatore che ispirò l’indimenticabile protagonista de Il vecchio e il mare di Hemingway. E in seguito ritorno a La Habana, nei luoghi dove la santeria e l’anima rumbera formano un incrocio di tradizioni, magie e talentuosi itinerari esistenziali e simbolici. Un capitolo è dedicato all’arte dei nuovi graffitari habaneri, le cui creazioni sui muri di palazzi devastati stanno lentamente sostituendo l’iconografia rivoluzionaria tradizionale. Bestiario avanero diventa così non solo una guida, ma un’esplorazione urbana, culturale e umana. Camminare per le strade del Centro Habana significa anche, come detto, ripercorrere i sentieri dei personaggi di Gutiérrez. E la poesia, in questo caso, è il territorio più vasto in cui perdersi e ritrovarsi di nuovo. Questo libro è insieme reportage narrativo, docufiction e guida poetica in cui l’esplorazione geografica si intreccia a quella letteraria e umana».
Conduci per mano il lettore nel reticolo delle strade, nelle piazze, nei mercati dei quartieri in cui tu e Gutiérrez vi incrociate, bevete una birra insieme, vi aggirate in un percorso a ostacoli dove la calle (la strada) va toccata e persino annusata per poter essere compresa appieno, anche, come hai scritto tu stesso, «a costo di struggersi, consumando la suola delle scarpe, perché è quando ti fermi a un angolo di strada che può iniziare qualcosa».
«Esattamente, nulla a che vedere, insomma, con le forme consuete e vuote di un giornalismo di viaggio che spesso restituisce di Cuba solo un’immagine artefatta, patinata, oppure imbevuta di retorica alla portata di tutti. Quello che ho cercato di sviluppare nella mia scrittura è uno sguardo dal basso, nutrito di contatto umano, della vita che pulsa, che si prefigge come intento quello di mostrarci la quotidianità vera degli artisti che a fine giornata, «si arrabattano con la loro felicità o tristezza come possono». In questo contesto, l’attesa di un incontro – quello con Gutiérrez – comporterà una serie di altri incroci inattesi: dallo scultore Gabriel Cisneros e la poetessa Giselle Lucia Navarro, dal gruppo degli scrittori del Parque Bosque e dell’Huron Azul, da centri culturali spontanei come il Neptuno 511 animati dalla cantautrice Yari Macarthy e dall’artista Leo Martinez, al centro Loynaz e alla Casa della poesia. Ho scritto questo libro anche per far conoscere i luoghi vissuti dagli artisti cubani, attraverso le parole di chi li ha frequentati insieme a loro e si finisce, poi, per scoprire quanto altro oltre il mito dell’Habana sia sopravvissuto, sorpassandolo. Una sorta di anomala guida che non diventa mai spazio simbolico perché la realtà si metaforizza di continuo attraverso la propria invasiva presenza».
Possiamo dire che, in veste di flaneur/detective, ti muovi con passo surreale e visionario in un mosaico sbriciolato che non richiede di essere ricomposto, ma raccontato.
«Sì, porto il lettore nel cuore del Centro Havana, simbolo e contrasto di una città ferita e martoriata, di cui Cayo Hueso è un percorso tortuoso, bellissimo e poco battuto: da calle Vapor a Perseverancia, da San Lazaro a parque Trillo, dal bar Cuchillo al Bodegon de Teodoro, dal Callejon de Hamel al Malecón: un tragitto dove ogni luogo diventa profondo come una ruga, vivo come una ferita sempre aperta. Perché La Habana è imprendibile, labirintica, in bilico tra allegria e disperazione, con il suo destino sospeso, lo stesso che è al centro di un nuovo e importante progetto dell’amico fotografo Paolo Simonazzi a cui sto dando da narratore il mio contributo, dopo la precedente esperienza che ci ha visti lavorare insieme per il progetto Mantua, Cuba».