Rugby femminile
Sara Mannini, un'altra (giovanissima) «Furia Rossa» in azzurro: «Dimostrerò di meritare la Nazionale»
La borsa della Nazionale già pronta. In tasca un biglietto per Cesena, dove avrebbe dovuto partecipare al raduno dell’Under 20. Ma prima degli impegni rugbistici c’è la scuola. E Sara Mannini, 18 anni compiuti da poco, come tutte le mattine è in classe, al Liceo scientifico Ulivi. Il suono della notifica che annuncia un nuovo messaggio in arrivo è dolce come non mai, stavolta. Sara allunga lo sguardo sul display. E quasi non ci crede... «C'era scritto che mi sarei dovuta presentare a Parma, invitata al raduno con la Nazionale maggiore. Sono letteralmente esplosa» rivela la giocatrice pisana, alla sua seconda stagione fra le fila delle Furie Rosse del Rugby Colorno. «Un primo passo verso il coronamento di un sogno che, sebbene possa sembrare assai banale dirlo, credo sia nei pensieri di tutte quelle bambine che iniziano a giocare a rugby» dice.
Ha stabilito anche un piccolo primato: lei è la prima 2005 in assoluto a ricevere la chiamata in una Nazionale A: cosa si prova?
«Anche qui, risposta scontata: un’emozione indescrivibile. Senti addosso una responsabilità maggiore, ma al tempo stesso hai una grande voglia di dimostrare tutto il tuo valore. E che meriti di stare in quel gruppo. È un nuovo punto di partenza».
Non più Cesena, ma Parma: un cambio di programma che non aveva messo in preventivo.
«Per niente. E le aggiungo anche un altro particolare: il fatto di non poter raggiungere le mie compagne dell’Under 20 inizialmente mi ha un tantino scosso. Con loro si è ormai creato un legame forte. Però ad un invito della Nazionale maggiore non si poteva dire di no».
Impressioni su queste prime giornate di lavoro con le azzurre?
«Molto buone. C’è un livello certamente più alto rispetto al club o alla stessa nazionale Juniores. Ma questo alimenta la spinta motivazionale: ti rendi conto di dove sei arrivata, di quello che puoi fare, dei limiti che devi superare».
Come è stata accolta dal resto del gruppo?
«Essendo la più piccola, sono entrata in punta di piedi. Però tutte le ragazze, e non solo le mie compagne di Colorno, sono state molto carine e disponibili: mi hanno fatta sentire una di loro. E questo ha contribuito a rendere più agevole l’inserimento. Parecchie di loro, peraltro, le conosco per averle già affrontate in campionato».
Sara, nel suo processo di avvicinamento al rugby c’è per caso lo zampino di qualcuno in famiglia?
«No, a casa nessuno ha mai giocato a rugby. L’unico che ha un minimo di conoscenza rispetto a questo sport è papà, che lo ha sempre guardato in tv ma che comunque non poteva considerarsi un appassionato».
E allora, come ha iniziato?
«Andavo ancora alle elementari, avrò avuto nove anni: frequentavo un centro estivo a Pisa dove gli istruttori davano la possibilità di praticare più discipline sportive, dal calcio al tennis passando per la pallavolo. E appunto il rugby».
Se n’è innamorata subito?
«Come vede sono ancora qui (ride, ndr). Battute a parte, il rugby l’ho amata perché rispecchiava molto il mio carattere».
Cosa le piaceva, ed evidentemente le piace ancora, della palla ovale?
«Il contatto fisico è un aspetto che mi ha sempre affascinato: rende l’idea della battaglia, in senso agonistico e positivo, finalizzata al raggiungimento di un obiettivo comune. Il gioco di squadra, il senso di unione, il rispetto per gli altri, l’aiuto reciproco: sono tutti valori che il rugby esalta».
Perché ha scelto Colorno?
«Sono arrivata qui nell’estate del 2022. In Toscana, purtroppo, il movimento femminile non è ancora molto sviluppato: nel periodo dell’Under 14-16 facevo avanti e indietro, tra Pisa e Livorno, pur di allenarmi con sole altre due ragazze. Era un modo per dare un senso a ciò che stavo facendo. Ma non mi bastava, sentivo che era il momento giusto per alzare il livello».
Un’aspirazione legittima.
«Che è stata pienamente assecondata dalla mia famiglia. Ivano Iemmi, presidente delle Furie Rosse, parlando con mio padre gli aveva prospettato la possibilità di un mio trasferimento a Colorno. Ma era un discorso più proiettato al futuro. Sono stata io, consapevolmente, ad anticipare i tempi».
Pensare a 17 anni di lasciare casa e trasferirsi in un’altra regione richiede coraggio.
«Ci ho riflettuto. E se ho preso questa decisione è grazie al sostegno della mia famiglia: loro hanno capito quanto fosse importante per me coltivare questa passione e i miei sogni. La mia felicità, per loro, viene prima di tutto».
Che ambiente ha trovato a Colorno?
«Una società seria, organizzata, con un progetto tecnico orientato alla crescita delle giovani. Al fianco di giocatrici esperte come Veronica Madia, che l’anno scorso è stata la mia principale fonte di ispirazione, Giada Franco e Isabella Locatelli, la possibilità di migliorare è concreta».
La sua giocatrice preferita in assoluto?
«L’inglese Emily Scarratt: l’ho sempre guardata con grande ammirazione, per il suo talento e la sua forza fisica. E poi giocava nel ruolo che sognavo di fare».
Lei dove gioca?
«Nel Colorno vengo impiegata prevalentemente come apertura, un ruolo che alterno a quello di primo centro».
I suoi prossimi obiettivi?
«Sono molto concentrata sugli studi. Dopo la maturità pensavo a Ingegneria: a Modena c’è un ramo che si occupa di intelligenza artificiale. Ma non escludo l’ipotesi di andare all’estero, dove potrebbero aprirsi scenari interessanti anche in ottica rugby».
E sulla Nazionale, dopo questo primo assaggio, cosa mi dice?
«Devo ancora realizzare ciò che sto vivendo. Spero che anche altre ragazze possano avere questa mia stessa opportunità».
Vittorio Rotolo