VIOLENZA
Pugni, calci e cinghiate in via Cavour: 20enne condannato
Uno sguardo forse un po' troppo intenso. Gli occhi puntati per qualche secondo verso la ragazza alla testa del gruppo. Quindici-venti giovani, alcuni poco più che adolescenti, che sfilano lungo via Cavour in quella sera di giugno del 2018. E uno che lancia la sfida: «Vuoi una foto?», urla al ragazzo, seduto insieme al fratello e ad altri tre amici sulle panchine nella piazzetta Cesare Battisti, che si era «permesso» di guardare la giovane. Ma che soprattutto aveva avuto la risposta pronta: «Ok, fammela». Due parole - secche e ironiche - ma per nulla gradite, perché immediatamente si era scatenato l'attacco. Era partito subito il «ragazzo della foto»: un pugno in faccia al ventenne che aveva osato rispondergli. Poi altri si erano staccati dal gruppo e avevano cominciato a sferrare calci e pugni anche agli amici. E a un certo punto sarebbe spuntata anche una cintura: sfilata dai pantaloni per colpire ancora meglio. Tre i ragazzi, tra i 20 e i 22 anni, all'epoca dei fatti, tutti parmigiani, sono poi finiti a processo per concorso in lesioni aggravate. Ma dopo un processo segnato da testimonianze poco precise su chi avesse colpito quella sera, solo uno, oggi 26enne, l'aggressore che avrebbe sfoderato la cintura, è stato condannato: 1 anno, con la sospensione della pena. Il giudice Magnelli ha anche disposto la non menzione nel casellario giudiziale. Gli altri due ragazzi sono invece stati assolti con la formula dubitativa, mentre la parte civile, che nel frattempo è stata risarcita, ha rimesso la querela.
Quindici, forse venti ragazzi, contro un gruppetto di cinque. Un «corteo» che passa in via Cavour, mentre gli altri sono seduti sulle panchine del piccolo slargo, all'angolo con Banca Intesa, che si apre sul corso. E un incrocio di sguardi, almeno secondo alcune testimonianze, che fa esplodere gli animi. Pugni, calci e quella fibbia dei pantaloni che diventa un'arma che può fare molto male. Sono le 23,30 circa di una serata di tarda primavera in pieno centro, ma pochi vedono, o forse si dileguano senza soffermarsi.
Eppure è una sequenza lunga. Con un primo e un secondo tempo che vanno avanti per diversi minuti. Dopo il primo attacco in piazzale Cesare Battisti, gli aggressori avrebbero infatti ordinato ai cinque ragazzi di andarsene. E il gruppetto non si era certo fatto pregare: tutti avevano solo voglia di allontanarsi. Ma pochi metri più avanti, arrivati in piazza Garibaldi, ci sarebbe stato un nuovo attacco. Altri calci, altri pugni. Finché il gruppo si era disperso nelle vie vicine.
Volti conosciuti da alcuni dei cinque ragazzi. Giovani che altre volte avevano incrociato per le vie del centro.
Dopo l'aggressione erano tornati a casa. Con qualche livido sul volto e sul corpo. E nei minuti successivi uno dei ragazzi aveva ricevuto una telefonata bizzarra: era uno dei giovani picchiatori che chiedeva che cosa avesse intenzione di fare dopo ciò che era successo. «Andremo in Pronto soccorso», era stata la risposta. Lì, dove poco dopo, i ragazzi incontreranno alcuni degli aggressori in compagnia di due adulti: «Ma ora cosa farete?», si erano sentiti ripetere. E alla parola «denuncia», anche uno degli aggressori aveva deciso di farsi visitare. Contromossa? Possibile. Ma lo scenario non è cambiato.
Georgia Azzali