EDITORIALE

Quei segnali contrastanti che arrivano dall'Africa

Augusto Schianchi

Il continente africano, precisamente la parte sub-sahariana, rappresenta una realtà profondamente contradditoria, come ha ben illustrato Federico Rampini nel suo bel libro. La parte dell’Africa che si affaccia sul Mediterraneo in effetti appartiene ad una condizione geopolitica diversa, che dipende in misura molto maggiore dal Nord del Mondo. Per gran parte dell’Africa (sub-sahariana) il 2023 è stato un anno disastroso, con le poche giovani democrazie travolte da colpi di stato e violenza, con la disastrosa guerra civile in Sudan, alimentata da potenze militari esterne. I livelli di debito pubblico sono i più elevati dal 2001, mentre la crescita economica a malapena ha compensato l’aumento della popolazione più giovane al mondo. La quota di reddito dell’Africa sub-sahariana sul Pil mondiale è crollata all’1.9%, con una quota di popolazione mondiale pari al 18%. Il punto più drammatico è proprio la guerra in Sudan, dove è esplosa la guerra tra l’esercito e un gruppo paramilitare, che ha finora coinvolto 7 milioni di persone, con (almeno) 12 mila morti. I colloqui di pace portati avanti dall’Arabia Saudita non hanno fermato la violenza, mentre si è capito (ma sempre negato) che le forze antigovernative sono finanziate dagli Emirati Arabi Uniti. Gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali ne sono rimasti fuori.

L a guerra terroristica da parte di gruppi Jihadisti si è estesa progressivamente a tutto il Sahel, con larghe fette di territorio in Mali, Burkina Faso e Niger, con estensioni alle aree densamente popolate del Golfo di Guinea. Sull’altro lato del continente, in Etiopia, la guerra civile ha già ucciso 600 mila persone a fine novembre 2022, ed i conflitti etnici continuano, senza escludere nuovi conflitti in futuro. Non è escluso che il leader carismatico Abiy Ahmed voglia avviare una nuova guerra verso l’Eritrea, per trovare un accesso al Mar Rosso.
Un altro punto critico è la Repubblica Democratico del Congo. I risultati elettorali di dicembre sono ancora in contestazione. Il recente conflitto tra l’esercito ed i ribelli del gruppo M23, sostenuto dal Rwanda, ha coinvolto 450 mila persone. La precedente guerra del 1998 aveva coinvolto 8 stati confinanti con oltre 3 milioni di morti (anzitutto per fame e malattie).
La fiducia nella democrazia si sta riducendo con i colpi di stato e la diffusione della violenza. La promessa di votazioni democratiche da parte dei militari al governo, come nel Mali, è stata rinviata.
Ma non dappertutto è così. In Nigeria, il paese più popoloso con tanta ricchezza petrolifera, ha eletto un nuovo presidente, e sono state introdotte riforme (a partire dalla fine dei sussidi petroliferi); non abbastanza, dice la Banca Mondiale, ma siamo sulla strada giusta. Il Sud Africa, l’altro grande paese africano, con enormi potenzialità di sviluppo ed altrettanti problemi a partire dalla corruzione, avrà le elezioni quest’anno. Ovunque si cercano leader politici che offrano programmi di aumento dei posti di lavoro e sicurezza nei confronti della criminalità.
Rimane il problema (già citato) del debito, che sfiora il 60% del PIL, il più elevato dal 2001, per un 44% di debito esterno (pubblico più privato), raddoppiato nell’ultimo decennio. Alcuni paesi, come la Somalia, se lo sono visti condonare (per 4.5 miliardi di dollari). Altri, come Zambia e Ghana, in default, sono riusciti nella ristrutturazione del debito, aprendo una nuova strada per il rifinanziamento dello sviluppo africano.
Per contro vi sono segnali di sviluppo possibile. La Liberia, a 20 anni dalla terribile guerra civile che portato allo sterminio di un decimo della popolazione, vive in ragionevoli condizioni democratiche. La Costa d’Avorio cresce al 6%, e la sua capitale Abidjan sta crescendo come capitale di rilevanza internazionale. Altrettando Rwanda e Benin.
Più importante di tutto i tassi di fertilità sono diminuiti drasticamente, proiettando in futuro una popolazione più bassa rispetto alle precedenti drammatiche previsioni. Ma sono anche altri i simboli del futuro dell’Africa.
In Kenya si è tenuta l’ultima conferenza mondiale sul clima; dal settembre scorso l’Unione Africana è diventata membro permanente del G20, in cui potrà esprimersi con voce forte e chiara.


Nel 2007 in Kenya (il paese più dinamico e innovativo) è partito (in anticipo rispetto alle blockchain del tipo bitcoin) l’esperimento della moneta digitale privata decentrata M-PESA, da allora in progressiva diffusione, che funziona come sistema di pagamenti per il tramite dei cellulari. All’inizio funzionava per i micropagamenti, con unità monetaria rappresentata dai minuti di utilizzo per il cellulare. Oggi a Nairobi è più facile pagare il taxi con il cellulare che in altri paesi ben più avanzati.
Senza dimenticare la musica. Il genere Afrobeats si è diffuso in tutto il mondo, e la musica -non dimentichiamo il nostro dopoguerra con l’impatto di Elvis- è uno straordinario mezzo di comunicazione e di ricerca della propria identità.
Graduale riduzione della conflittualità militare, sfruttamento non predatorio delle risorse naturali, finanziamenti adeguati per l’aumento della crescita con nuova offerta di lavoro, anzitutto per donne e giovani, diffusione della micro imprenditorialità, riscoperta della propria identità culturale, sono tutti fattori che contribuiranno alla transizione dell’Africa per diventare uno dei grandi attori mondiali dei prossimi decenni.