Nuova avventura per il tecnico parmigiano
L'Orlando d'Arabia: «Il basket femminile qui è un mondo nuovo. Ad alcune giocatrici non posso dare il cinque, ma c'è grande rispetto»
Sandro Orlando vive la pallacanestro in maniera totalizzante. È sempre stato così per lui. E non soltanto perché questo è il suo lavoro. Il tecnico parmigiano è uno di quelli abituati a vivere ogni avventura professionale come una sfida. Più elevato risulta il coefficiente di difficoltà, più si esalta nel solco degli stimoli continui, Orlando: animo da globetrotter e un intuito fine che lo porta a riconoscere istantaneamente i talenti, forgiandoli con pazienza e abile maestria.
Un altro capitolo, l'ennesimo, di una carriera costellata di successi, coach Orlando si accinge a scriverlo in Arabia. Da poco più di un mese è alla guida dell'Al Qadisiya, formazione che milita nel campionato saudita di basket femminile e con sede nella città di Al Khobar, sulla costa del Golfo Persico. «Dopo l'ultima avventura in Messico avevo la possibilità di andare in Germania» racconta alla «Gazzetta di Parma». «Ma di fronte alla chiamata dall'Arabia non ho avuto dubbi». E non soltanto per una questione di natura economica. «L'offerta era più allettante – ammette -, ma in questa mia decisione ha prevalso soprattutto la prospettiva di un'esperienza di vita diversa dal solito, in un contesto stimolante».
Che ambiente ha trovato in Arabia?
«Fin dai primi colloqui col club ho percepito chiarezza in termini progettuali e la ferma volontà di investire sullo sport femminile, anche in ragione di una possibile futura candidatura ad ospitare le Olimpiadi».
A livello cestistico, a che punto siamo?
«Le ragazze che alleno praticano questa disciplina da due-tre anni: devono crescere. Per fare ciò e dare linfa alle nazionali, i club propongono ai tecnici contratti più lunghi».
Il suo club?
«L'Al Qadisiya è una polisportiva: oltre al basket ci sono calcio, pallavolo e pallanuoto, maschile e femminile. Le strutture, poi, sono all'avanguardia».
E la città? Come si trova?
«Nonostante abbia circa 500 mila abitanti, devo dire che è abbastanza tranquilla. Ci sono tanti turisti e anche il clima è gradevole. In estate mi dicono che le temperature saliranno vertiginosamente. Ma c'è il mare, si sta bene. Vivo in un grattacielo che è una piccola enclave internazionale: sono tutti americani, australiani o anche italiani che lavorano per conto di società arabe».
Il suo rapporto con la popolazione locale invece?
«Ho conosciuto persone gentili. Occorre adeguarsi agli usi e ai costumi locali, ma è giusto così. Ad alcune mie giocatrici, ad esempio, non posso dare il cinque, perché è vietato il contatto fisico. Devi quindi entrare in un'ottica diversa, ma c'è grandissimo rispetto: questo agevola i rapporti umani».
Come viene percepito il basket femminile da quelle parti?
«Il pubblico è composto prevalentemente da amici e familiari delle giocatrici, ma c'è molta curiosità. Quando sono in giro e dico che alleno una squadra di basket femminile, qualcuno si mostra ancora perplesso: normale che sia così, per loro è un mondo nuovo. Col tempo impareranno a conoscerlo e ad amarlo».
E il campionato?
«È nato da poco e comprende otto squadre. Ciascuna di queste, nel proprio roster, ha una sola straniera. Dalla prossima stagione se ne dovrebbe poter tesserare una seconda, elevando così il tasso tecnico».
È soddisfatto di questo suo primo mese in Arabia?
«Sì, delle ventidue ragazze che alleno apprezzo impegno e dedizione. Qui non parliamo di giocatrici professioniste: la quasi totalità di loro studia e lavora. E in pausa pranzo corre in palestra, per fare un'ora di allenamento individuale. L'obiettivo è farle crescere, tecnicamente e fisicamente, ma al tempo stesso anche avviare un'intensa attività di reclutamento, cercando giovani che possano abbracciare la pallacanestro. In questo senso inseriremo presto un'altra figura professionale nello staff tecnico, con competenze specifiche in ambito giovanile».
Di lei colpisce sempre l'entusiasmo con cui si approccia al suo lavoro.
«Gusto della sfida ed entusiasmo non devono mai mancare nella mia professione. E questo a prescindere dal fatto che tu possa allenare una nazionale, una squadra che partecipa all'Eurolega o un'altra, come questa, che è praticamente come fosse una giovanile. Io, poi, non sono mai stato di quelli con la puzza sotto al naso. Mi hanno chiamato dall'Ungheria per salvare una squadra ultima in classifica. E ci sono riuscito. Le difficoltà non mi spaventano. Anche in Arabia sarei stato più preoccupato qualora, una volta arrivato qui, avessi trovato giocatrici demotivate e poco disposte al sacrificio. Ma non è stato così, per fortuna».
Lei è un vero giramondo. Ma l'Italia non le manca?
«Guardi, io in Italia sto bene. Ma le società non sembrano molto propense ad offrire un trattamento economico adeguato. Se c'è da risparmiare, per far quadrare il bilancio, lo fanno proprio partendo dagli allenatori. Non voglio sembrare presuntuoso, ma credo che professionalità e competenze vadano sempre riconosciute e retribuite nella maniera corretta».
Nel basket femminile, ai massimi livelli, non c'è più Parma...
«Non me ne parli. Penso agli anni d'oro che abbiamo vissuto e ai tanti sacrifici di Gianni Bertolazzi. Il fatto che Parma non esprima una squadra di vertice, mi creda, è una ferita aperta».
Vittorio Rotolo