IL DIARIO DEI FIORI
Baci a raffica sul palco dell'Ariston
I dati dicono bene e danno numeri che non si prestano a discussione alcuna: non succedeva dal '95 che il Festival di Sanremo facesse oltre il 60% di share per ben tre serate consecutive, e, adattiamoci al «moderno» quanto impalpabile modo di quantificare il successo, la playlist delle canzoni di Sanremo 2024 ha raggiunto la prima posizione mondiale negli ascolti su Spotify nel primo giorno della release (disponibilità sulla piattaforma). È perlomeno difficoltoso pensare ad un Festival prossimo senza Amadeus, è un pensamento che deve iniziare ora: il 60enne, eternamente giovane nella dinamica e razionale quanto serve nelle decisioni, ha dimostrato di saper ben mescolare le carte in tavola e di portare a casa un risultato, anche generazionale, che ha mostrato il modo in cui tutti hanno diritto all’accesso, giovani o meno, con, almeno per me, una «sconvolgente» rivelazione: i ventenni, rapper o «diseguali» che siano, tutti, ma tutti proprio, sono dei morbidoni, ringraziano i genitori per aver permesso loro di «inseguire un sogno», omaggiano mamme, alcune presenti in sala, con mazzi di fiori e pronta risposta con lacrimuccia delle genitrice, così come sconcerta quella «solidarietà» empatica tra colleghi, quel continuo abbracciarsi e sbaciucchiarsi, quando «c’era una volta» la percezione della rivalità, quel guardarsi di sottecchi senza il timore di dover essere «politicamente corretti»: dalla eterna regina Nilla Pizzi che manco degna di uno sguardo Carla Boni, a cui peraltro tenta di soffiare il marito Gino Latilla, la favolistica «non ti considero manco di striscio» tra Rettore/Bertè (entrambe presenti nella serata di ieri, una in gara, l’altra duettante ospite), così come, eclissatasi la stellare Oxa dello scorso anno, lontana come una viaggiatrice del mondo una Patty Pravo con fascino ineguagliabile se comparato alle attuali ninfee della »trasgressione», ci restano ora dei frizzanti e «reiventati» Ricchi e Poveri, che immagino utilizzino lo stesso «cocoon» di Paola&Chiara, tant’è che il duetto, di suo, diventa di fatto un quartetto, come era il gruppo vocale genovese agli esordi, della serie «l’allegria» non conosce il doppio mento o pappagorgia che sia, così come se ne guarda bene dal catalogare come eccessivi i ricorsi alle punturine o all’uso indiscriminato delle pancere «trattieni addome», meglio così, anche per noi che guardiamo. Di assoluta e anche un po’ pedissequa soluzione, la scelta fatta da alcuni di duettare con il proprio repertorio (abbiamo capito che Renga e Nek sono già duetto, ma più in là di un semplice medley tra i loro brani non si poteva andare?) così come invece spiazza l’accoppiata vincente tra il re Cocciante ed il suddito Irama («Quando finisce un amore» è un pezzo devastante anche per chi lo fa senza esserne in grado, come me al karaoke, ma non solo per la gola, ma perché straccia a brandelli le coronarie). Poi ci sta anche che Annalisa abbia scelto l’inglese, portando «Sweet dreams» degli Eurythmics, con La rappresentante di lista e coro aggiunto, mentre Malika Ayane, raffinata come sempre, da più di una corda vocale intonata alla «Canzone del sole» di Battisti che i Negramaro hanno scelto come brano cover e che, nel suo essere di ieri ma anche di oggi, (visto che le «bionde trecce gli occhi azzurri e poi» sono anche nel testo della canzone che hanno portato in gara). Proprio il loro brano festivaliero ha il titolo giusto per i Sanremo visti con Ama e per quello nuovo che arriverà: Ricominciamo tutto è un imperativo categorico.
Mauro Coruzzi