INTERVISTA
Ilaria Capua: «Salute circolare, una rivoluzione necessaria»
Sabato la nota virologa e saggista Ilaria Capua sarà a Parma per ricevere il premio «Una mimosa per l'ambiente», che viene assegnato ogni anno da Ada, l'Associazione donne ambientaliste. Ecco l'intervista che ha rilasciato alla Gazzetta.
Da tempo parla di salute circolare: che cos'è?
«La salute circolare è un nuovo paradigma per migliorare la salute. Un modo di pensare che tocca gli scienziati e dovrebbe toccare i decisori a vari livelli , così come le persone. Affonda le sue radici nel principio One Health, che afferma che la salute dell’uomo è strettamente interconnessa a quella degli animali, delle piante e dell’ambiente, ma vuole essere ancora più inclusiva e contemporanea. Infatti, riconosce nei i big data una fonte di innovazione e considera essenziali le discipline non biomediche per l’avanzamento della salute come sistema, prevedendo anche la partecipazione attiva dei cittadini. Cerco di raccontare la salute circolare attraverso la spiegazione delle interconnessioni partendo dai quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. Fino ad arrivare ai virus, alla globalizzazione e ai big data».
Dai quattro elementi ai big data, come avviene questo «passaggio» ?
«Oggi noi abbiamo la capacità di misurare quasi tutto. Quindi, per esempio, siamo consapevoli della crisi climatica, non solo per quello che vediamo ogni giorno, ma anche per quello che ci dicono i numeri. E i numeri ci dicono che il 2023 è stato l' anno più caldo di sempre, e che quello passato è stato il gennaio più caldo di sempre. Si tratta di dati che si ottengono dalle misurazioni delle precipitazioni, della temperatura, del vento. Cifre che sono, in parte, usate a servizio della salute per capire fenomeni che magari solo 10 anni fa non eravamo affatto in grado di misurare e comprendere. Mentre gli antichi si basavano sulle intuizioni, noi oggi abbiamo i numeri. Ed è proprio attraverso il loro studio e la loro analisi che possiamo mettere in atto dei comportamenti individuali o possiamo proporre progetti di ricerca che vadano a svelare le interconnessioni che noi ancora non conosciamo, perché le abbiamo studiate come fenomeni isolati e unici e non come macro-sistemi».
Oltre ai numeri, però, lei usa tanto anche le parole per fare scienza. Non a caso, il suo ultimo libro si chiama «Le parole della salute circolare» (Aboca Edizioni).
«Nell’epoca in cui viviamo, diamo poca importanza alle singole parole e le informazioni che ci arrivano così, tutte insieme, come una sorta di bombardamento, non ci danno il tempo di approfondire il significato di alcune parole. Le parole di cui faccio uso anche nel libro sono in grado di ricostruire un dialogo tra passato, presente e futuro e indicare un percorso nuovo per il domani».
Ad esempio?
«Vorrei venissero riscoperte le parole: «curiosità», verso tutti i fenomeni e ciò che ci riguarda direttamente; «determinazione» per andare a fondo e voler comprendere. E ancora, «lungimiranza», perchè non siamo più nella situazione di poter prendere decisioni senza comprendere l' impatto a lungo termine di quelle stesse decisioni. Queste sono alcune delle parole che racconto nel mio ultimo libro e anche a teatro. «Le parole della salute circolare» è diventato uno spettacolo teatrale (prossima tappa a Roma al teatro dell’Università La Sapienza, il 4 aprile, ndr) per arrivare a più persone possibili e parlare un linguaggio diverso, seguendo sempre quell'approccio olistico che caratterizza il pensiero di cui mi occupo».
Ha parlato di «pensiero», «approccio», «linguaggio». C’è tanta filosofia nel suo modo di vedere la scienza. È così?
«Sì, c’è molta filosofia perché la scienza non può più muoversi senza la filosofia e anche senza l’etica. E quindi con questo approccio più inclusivo riusciamo a portare dentro alla scienza anche metodologie più umanistiche, concetti più umanistici, permettendo a tutte le persone che magari hanno un rapporto complicato con la scienza, per «colpa» di troppi numeri e concetti, di poter partecipare al ragionamento. Perché la scienza da sola non ce la può fare: lo abbiamo visto con la pandemia come i comportamenti dei singoli, al di là dell’approccio scientifico, siano fondamentali per affrontare un’ emergenza».
A proposito di emergenze. Cosa dobbiamo aspettarci in futuro, ci saranno altre pandemie?
«Le pandemie arrivano così, come tutti gli altri fenomeni naturali. Come le tempeste, gli uragani: ogni tot numero di anni arriva una nuova pandemia, in un intervallo di tempo, per le pandemie influenzali, che può variare dagli 11 ai 40 anni. Non prepararsi e sperare sul fatto che una nuova emergenza non ci toccherà è poco saggio: i decisori e coloro che gestiscono le macro problematiche della sanità pubblica devono tenere presente questa cosa e non dimenticarsi di tutti i comportamenti da mettere in atto durante un’emergenza sanitaria. Nel secolo scorso, in cento anni ci sono state tre pandemie influenzali: la spagnola, l’asiatica, la Hong Kong. E anche l’ Hiv è stata una pandemia, originatasi da un virus dal mondo animale, che ha infettato moltissime persone. Pensare che una nuova pandemia non arriverà è un approccio bendato e poco maturo. Non c’è, però, alcun allarme: ci vuole solo un approccio maturo che riconosca che queste cose avvengono. Quindi sì, potrà essere causata da un virus influenzale, che è uno dei principali indagati, o potrà essere causata da altri virus, ma una nuova pandemia, prima o poi, ci sarà».
Dopo anni di studio e ricerca negli Stati Uniti, ha deciso di tornare in Italia. L'Italia è un Paese per scienziati?
«L’Italia ha un’ importantissima tradizione scientifica. L’ ultimo premio Nobel per la fisica è andato al prof. Giorgio Parisi, per esempio. L’ Italia “sforna” ottimi scienziati e ne esporta molti. Io sono tornata in Europa dopo tanti anni negli Stati Uniti, dove ho imparato tantissime cose e ho sviluppato la teoria della Salute circolare, perché volevo tornare nel mio Paese per dare il mio contributo. Ho pensato di tornare «di qua» dall’oceano perché volevo restituire al mio Paese e all’Europa la mia visione di scienziato maturo. Usare tutto quello che ho imparato negli ultimi anni per sviluppare il mio progetto di Salute circolare in Italia, Paese che ha tanta cultura scientifica e una tradizione olistica della gestione di alcune problematiche. Mi piacerebbe che la salute circolare partisse proprio da qui come nuovo movimento».
È dura essere una donna di scienza, in Italia?
«Essere uno scienziato donna in Italia, e in generale essere donna, porta con sé delle responsabilità, difficoltà e criticità. Non è stato facile affermarsi a livello lavorativo, c’era tanto sessismo quando ho incominciato. Credo, però, che rispetto a quando io ero una giovane donna che si affacciava al mondo della ricerca, oggi le cose siano leggermente cambiate. Per esempio, si riconosce che in alcune professioni, tra cui le scienze biomediche, gli iscritti all’università siano prevalentemente donne. Questo enorme bacino di talento bisogna valorizzarlo e bene».
Il premio «Una mimosa per l’ambiente», che riceverà domani da parte dell’Associazione donne ambientaliste, vuole essere un riconoscimento «a una donna che si sia distinta per nella divulgazione, promozione, sostegno delle tematiche ambientali con concretezza e professionalità». Che effetto le fa riceverlo?
«Questo premio è molto importante per me, perché credo che le donne, nel quotidiano, possano fare moltissimo per l’ambiente. Le donne sono capaci di rendere contagiosi i comportamenti virtuosi e questo può portare un impatto molto importante per tutto il Pianeta».
Secondo lei, che cosa è che rende davvero liberi?
«La salute. Perché è fondamentale per vivere. Se non hai la salute non puoi fare tutto il resto, portare avanti la propria esistenza come si desidera. Ecco perché mi impegno così tanto nella divulgazione e promozione della salute: perché so che essa è libertà».
Anna Pinazzi