INCHIESTA

Piattaforme, offerta di film deludente e cara

Gianluigi Negri

«Mi costi, ma quanto mi costi?». Tempi duri per cinefili (e appassionati di serie), anzi durissimi: la corsa dei prezzi verso l’alto dei servizi di streaming è ormai inarrestabile e fuori controllo. Diventa quasi inevitabile, dunque, ridurre il numero degli abbonamenti. Oppure passare da quelli annuali a quelli mensili, da attivare e disattivare al momento del bisogno. L’ultimo dei rincari annunciati risale alla settimana scorsa, e riguarda Prime Video, dopo quelli di Now Tv di settembre e di Disney + ed Apple Tv + di novembre, ai quali si aggiungono le voci su un ulteriore rialzo dei prezzi di Netflix per il 2024.

Il problema vero delle piattaforme, almeno per i film, è la reperibilità di classici e opere del passato, la «volatilità» dei cataloghi (un film non è mai per sempre, ma spesso viene tolto dopo pochissimi mesi, un anno oppure due) e la loro «parzialità» (ogni canale ha il proprio catalogo, e chi è veramente appassionato di cinema si trova costretto a sottoscrivere più di un abbonamento per rimanere aggiornato o, più semplicemente, per coltivare il proprio interesse). Anche alla luce di ciò, la motivazione degli aumenti suona spesso ridicola e ha il sapore di una presa in giro: «Vi daremo sempre di più e sempre maggiore qualità!». Come se non fosse già nelle cose il fatto che, per giustificare qualsivoglia tipo di abbonamento, ogni piattaforma deve, per forza, offrire mensilmente delle novità.

Tra queste ultime, però, quali sono realmente quelle di un certo interesse? Insomma, è sotto gli occhi di tutti che, per mere ragioni commerciali, si tenti di confondere il termine «quantità» con il termine «qualità». Cosa non facilissima da digerire, sia in termini morali che, soprattutto, materiali. Specialmente quando, per fare qualche esempio, in questo momento e in nessun abbonamento, non esiste la possibilità di (ri)vedere classici come «Ultimo tango a Parigi», «Lawrence d’Arabia», «Il cielo sopra Berlino», «Indovina chi viene a cena?». L’unica speranza di risparmio (?), attualmente, sarebbe rinunciare al 4K e sottoscrivere abbonamenti che prevedono l’inserimento della pubblicità nei film e nelle serie tv. Soluzione a metà tra lo scherzo e la beffa: «seriously?», direbbero gli americani.

NETFLIX
18 euro al mese dal 2021, con 4K e senza possibilità di abbonamento annuale

È la piattaforma con più titoli (quasi 7.500, ma quanta fuffa in mezzo!) ed è la più cara. Annuncia nuovi aumenti per quest’anno. Resta la migliore per i sottotitoli (font e leggibilità). Nel tempo ha assottigliato il catalogo di film del passato (opere anche solo di qualche anno fa), perché sforna a ripetizione proprie produzioni, molte delle quali improponibili. Rispetto a prima, ha però ridotto il numero delle produzioni di film italiani. Due curiosità: «Alì», girato in cinemascope da Michael Mann, si presenta nel formato sbagliato, mentre la versione estesa di «C’era una volta in America» dura dieci minuti in meno rispetto a quella presente su Prime Video.

PRIME VIDEO
5 euro al mese, con l’aggiunta, a partire da aprile, di 2 euro al mese se si vuole evitare la pubblicità: un aumento del 40 per cento, che sale praticamente al 50 per cento per chi ha l’abbonamento annuale da 50 euro.

È il canale con il maggior numero di film «non novità»: davvero ricca la scelta, ma troppo spesso mancano la lingua originale e i sottotitoli italiani (ad esempio, in tutto il catalogo Bim). Qualche volta (anche in film nuovi come «Land of bad» con Russell Crowe) i sottotitoli vanno fuori sincrono. Possiede l’intero catalogo Sony/Columbia e Mgm, ma fa «ruotare» molto questi titoli, caricandone alcune decine nell’arco di un mese e tenendoli disponibili solo per pochissimo tempo. Che senso ha, ad esempio, rendere disponibile un cult assoluto come «Hollywood party» solo per tre o quattro mesi? Per fare un altro esempio, l’horror «Talk to me», tra i più interessanti della stagione, è stato inserito il 19 febbraio e già verrà tolto a marzo.

NOW TV
17 euro al mese dallo scorso settembre per il pacchetto cinema + serie, prezzo per chi vuole evitare la pubblicità.

Quasi 1.500 i film. I sottotitoli sono i peggiori tra tutte le piattaforme esistenti, con l’impossibilità di modificare lo sfondo nero e di ridurre la dimensione dei caratteri, cosa invece possibile anche nei canali più scrausi. E poi l’inaccettabile, insopportabile e anacronistica mancanza del 4K. Infine, a differenza che in passato, un catalogo film ormai solo «mainstream», con sempre minore attenzione alla ricerca e alle opere di ieri e dell’altro ieri.

DISNEY+
gli aumenti dello scorso novembre sono del 33 per cento: abbonamento mensile passato da 9 euro al mese a 12 al mese ed annuale da 90 a 120 euro.

Avrebbe un catalogo infinito (non solo quello Disney, ma anche quello 20th Century Fox, oggi 20th Century Studios), eppure non osa nulla: pochi classici (ad eccezione dei cartoon, tutti presenti), solo lungometraggi «campioni di incasso», cose viste e straviste in ogni dove, zero coraggio. Alla sua nascita, aveva titoli come «Quiz show», «Cocoon», «La guerra dei Roses» ed il «culto non colto» «Wagon-lits con omicidi»: tutti rimossi dopo poco più di un anno, senza apparente motivo, se non, con ogni probabilità, il basso numero di visualizzazioni. Una scusa, però, che tiene fin lì: inaccettabile, dal momento che, ad ogni aumento di prezzo (e Disney +, in pratica, li ha raddoppiati in soli quattro anni), ci viene raccontato che «ci danno sempre di più». Oltre la Marvel (quanto realmente si può salvare delle sue produzioni nell’ultimo quinquennio?), ci sarebbero mille universi da scoprire e «rilanciare»…

PARAMOUNT+
8 euro al mese.

Poco più di 700 titoli, tra film e serie: una miseria. Forse più le serie presenti rispetto ai film. Tolti, inspiegabilmente, dopo poco più di un anno, capolavori come «Nashville» di Altman e «Perché un assassinio» di Pakula. Il catalogo film Paramount sarebbe immenso, ma c’è tanta svogliatezza anche nelle uscite mensili (pochissime) e nel tentativo di inserire un ristretto numero di titoli del listino Minerva, come «Piccoli omicidi tra amici» e «Jimmy Bobo», che non hanno i sottotitoli italiani per la visione in lingua originale.

MUBI
12 euro al mese.

È la piattaforma dei cinefili, ma ha solo 664 titoli, senza alcuna serie tv e compresi documentari e cortometraggi: dunque un’offerta di film davvero limitata a fronte di un prezzo molto alto. Solo un paio i titoli in 4K, pochissime le novità, mentre i lungometraggi di finzione disponibili sono più o meno gli stessi da anni.

APPLE TV+
passato da 7 euro a 10 euro al mese dal novembre scorso.

Il canale con meno titoli in assoluto: solo 217, ma tutte produzioni originali. Una trentina, appena, il numero dei lungometraggi di finzione. Tra le serie, ce ne sono alcune eccezionali («Scissione», «Wild horses», «Ted Lasso»), più altre notevoli, come «Servant» e come la prima stagione di «For all mankind» e «The morning show».

Gianluigi Negri