Processo
Sofia, il giallo delle videoregistrazioni scomparse
Oltre ai tanti testimoni che sfilano in tribunale a Lucca nel processo per la morte della piccola Sofia Bernkopf, annegata il 13 luglio 2019 negli 80 centimetri d'acqua dell'idromassaggio del bagno Texas di Marina di Pietrasanta, anche le telecamere della struttura avrebbero dovuto parlare. Da varie angolazioni avrebbero raccontato una verità incontrovertibile e asettica, per quanto terribile, se solo le loro registrazioni non fossero sparite. Presenti la sera nel cloud centrale della Verisure, a Roma, il mattino dopo le immagini non c'erano più. «Scadute», nonostante la Polizia postale della Capitale avesse ordinato di conservarle, dopo che la Procura di Lucca ne aveva disposto il tempestivo sequestro.
A rievocare il «giallo delle telecamere» nel processo che vede a vario titolo accusati di omicidio colposo Elisabetta e Simonetta Cafissi, titolari del bagno Texas, dei rispettivi mariti e datori di lavoro, Giampiero Livi e Mario Marchi, dei bagnini Thomas Bianchi ed Emanuele Fulceri e di Enrico Lenzi, fornitore e installatore della piscina idromassaggio, è stato il perito della Procura Maurizio Berti. Già ascoltato due settimane fa, Berti è stato controinterrogato dalle difese nell'udienza di ieri. Oltre a svolgere le attività tecniche negli accertamenti non ripetibili sulle piscine, il consulente dell'accusa - che ieri ha confermato le numerose irregolarità della vasca nella quale la dodicenne parmigiana ha perso la vita - era stato incaricato anche del recupero dei video della sorveglianza. Registrazioni che già per contratto avrebbero dovuto essere conservate. A scaricarle si provò subito, cercando di farlo dal cloud della Verisure, ma la connessione scarsa in due ore permise di ottenere appena un video: quello che mostra il bagnino lasciare il suo posto per andare a riavviare i motori dell'impianto bloccati da un'avaria. La tragedia si sarebbe consumata subito dopo, durante la sua assenza.
Il dottor Lari, della società Culligan, ha ribadito l'estraneità alla tragedia della propria azienda. Ha dimostrato come il contratto siglato tra la finanziaria «Dante», che fa capo ai Cafissi, proprietari del bagno Texas, e la Culligan riguardasse solo il controllo igienico-sanitario dell’acqua delle piscine, e non la regolarità degli altri impianti, in particolare del sistema di aspirazione dell'idromassaggio. E a questo punto in aula è tornata a riecheggiare la testimonianza dell'ingegner Orsini. La scorsa udienza, il consulente del pubblico ministero Salvatore Giannino aveva infatti sottolineato le conclusioni dell'incidente probatorio, durante il quale si era misurata la potenza della bocchetta di aspirazione, «dieci volte superiore al limite di legge. Anche un adulto che si fosse trovato nelle stesse condizioni non sarebbe riuscito a sottrarsi da solo da quella trappola». I lunghi capelli di Sofia vennero risucchiati e la piccola fu trascinata sotto quell'acqua, bassa, ma sufficiente ad annegarla. Per liberarla, le ciocche imprigionate nella bocchetta vennero strappate dal cuoio capelluto. «Nei filtri dell'idromassaggio - aveva aggiunto Orsini - attraverso la stessa bocchetta di aspirazione erano stati risucchiati cuffie, fermacapelli e anche tessere di rivestimento della stessa vasca».
Tra due settimane, a comparire in aula saranno i testimoni e i consulenti tecnici dei genitori di Sofia che si sono costituiti parti civili, assistiti dall’avvocato vicentino Stefano Grolla. Edoardo e Vanna Bernkopf, presenti ieri come a tutte le udienze, si sono detti «soddisfatti della meticolosa attività svolta dal pm Salvatore Giannino, che ha messo in luce tutte le condotte illecite e le violazioni di legge che hanno causato la morte di Sofia». E soddisfatti sono anche del ruolino di marcia dettato al processo dal giudice Gianluca Massaro. Anche se ogni udienza per loro è uno strazio. Che si rinnova ogni volta più profondo.
Roberto Longoni